mercoledì 1 agosto 2007

La droga finanzia i terroristi islamici

Dagli spinelli alle bombe un'unica scia di fumo. I gruppi salafiti, come quelli responsabili delle stragi di Madrid, si finanziano vendendo hashish. La criminalità internazionale sta investendo fortemente in Africa sia come terreno di coltivazione, sia impiantando laboratori di trasformazione con manodopera a basso costo

Si fa presto a chiamarla "droga leggera". Quando invece è ormai assurta a moneta di scambio nello sfruttamento della prostituzione ed è fonte primaria nel finanziamento del terrorismo internazionale. Dentro a uno spinello, a una canna, infatti, c'è tutto questo.
Perché dal campesino boliviano allo spacciatore sotto casa la filiera è scandita da accordi che coinvolgono la mafia siciliana e i governanti corrotti dei Paesi più poveri, i boss della 'ndragheta calabrese e i gregari di al-Qaeda. Non è un caso che con i proventi dello spaccio di hashish siano stati finanziati gli attentati dell'11 marzo di Madrid: 200 morti nelle stragi alle stazioni.
Ma tutto questo l'adolescente che va a comprare un grammo di "fumo" dal ragazzetto sveglio del quartiere probabilmente non lo sa. E spesso non lo sa neanche il singolo spacciatore, ultimo anello di un sistema a compartimenti stagni. In fondo sarebbe uno svago innocente, stando a quel che assicurano veline e imprenditori (ricorda nulla "Vallettopoli"?) sorpresi in discoteca a tirare di coca nei privè dei locali alla moda: «Sono affari privati e poi non c'è nulla di male», hanno detto più volte in un progressivo allentamento della percezione della responsabilità personale e della pericolosità sociale di certe pratiche.
Chissà cosa direbbero se sapessero che il nuovo orizzonte dei narcos guarda verso l'Africa, dove i narcotrafficanti sudamericani stanno impiantando piantagioni di cannabis e laboratori clandestini, perché i contadini neri costano poco, lavorano sodo e stanno zitti.
«In tale contesto - è scritto in un dossier del governo - si registra il progressivo insediamento delle organizzazioni colombiane nei principali Paesi occidentali africani, primo fra tutti il Senegal dove attraverso società di import-export e di pesca, opportunamente avviate, provvedono al recupero (in mare e a terra), allo stoccaggio e al trasferimento di questa sostanza sul mercato europeo di consumo». Oltre a Senegal, Gambia, Ghana, Niger ia, "l'erba da sballo" cresce copiosa pure in Marocco. Nonostante un significativo calo rispetto al 2004 (-37%) dovuto alle politiche antidroga promosse dalla casa reale, nel regno degli Alawiti viene prodotta la quantità maggiore di hashish che alimenta, per l'80%, il mercato illecito europeo. È lungo questa rotta che si fanno strani incontri.
«Sempre più spesso - racconta un investigatore impegnato in operazioni sotto copertura - quando cerchiamo i boss della droga troviamo i terminali di una qualche cellula islamica». Lo conferma Tlili Lazhar, l'ultimo dei pochi pentiti della jihad di casa nostra: «Per autofinanziarci spacciavamo droga e i soldi ci servivano per l'organizzazione».
E per organizzazione si intende il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, sigla magrebina del franchising firmato al-Qaeda. La storia di Lahzar segue il copione di molte altre vite a rischio. L'emigrazione dalla Tunisia, i giorni di duro lavoro come bracciante a Mazara del Vallo, poi operaio a Siena, infine spacciatore di droga in Lombardia, tra Legnano, Milano e Buccinasco. «Il cosiddetto spaccio di droga - ha scritto Loretta Napoleoni, consulente delle Nazioni Unite e tra i massimi esperti mondiali nello studio del finanziamento al terrorismo - proprio recentemente ha visto prevalere l'etnia magrebina, soprattutto, per quanto riguarda il primo livello di consumo, quello della cosiddetta "erba", anche se ormai il fenomeno si sta fisiologicamente dilatando e potrebbe raggiungere presto il controllo del più interessante, in termini economici, smercio della cocaina».
Le stime dell'Unodc (l'agenzia Onu sulle droghe e la criminalità) indicano in 1.070 tonnellate la produzione totale marocchina del 2005, proveniente da 72.500 ettari di coltivazioni di cannabis concentrate, soprattutto, nella zona del Rif (un'area montuosa del Nord). La maggior parte dell'hashish marocchino viene fatto transitare in Spagna (297 tonnellate sequestrate al 30 giugno del 2006) attra verso lo stretto di Gibilterra dalle stesse organizzazioni locali e lì stoccato in enormi quantitativi. L'ultimo episodio è del 19 luglio: la polizia di Milano ha sequestrato un carico di 440 chili di hashish partito dal Marocco e diretto in Italia.
Il Tir, intercettato in Spagna, è stato pedinato fino all'arrivo in Lombardia. Alla partenza era stato caricato con 1.800 chili di stupefacente, ma a Milano ne sono arrivati 440. Per ogni grammo consumato c'è una famiglia povera che a un futuro di coltivazioni "normali" preferisce, e qualche volta non gli viene concessa altra scelta, il guadagno immediato dalle produzioni fuorilegge, tanto più se queste contribuiscono alla causa di una qualche fazione islamica.
Sono moltissimi i Paesi, tra quelli sudamericani, africani ed asiatici dove la pianta cresce spontaneamente. Una stima della produzione globale dei due più comuni derivati della cannabis (marijuana e hashish) è stata tentata dall'Unodc sulla base delle piantagioni individuate e dei sequestri effettuati: a 45.000 mila tonnellate corrisponde la produzione di marijuana e 7.500 tonnellate quella dell'hashish. Mettendo in fila i dati delle forze dell'ordine se ne ricava che nel corso del 2006 il mercato italiano sia stato alimentato prevalentemente dalla cocaina prodotta in Colombia, dall'eroina afgana, dalle droghe sintetiche provenienti per lo più dall'Olanda, dall'hashish marocchino e dalla marijuana albanese.Dal Paese delle Aquile una volta arrivavano gommoni carichi di clandestini e sigarette. Non più.
Perché mafie italiane ed albanesi grazie alla droga hanno siglato un contratto che consente a entrambe di fare affari senza invasioni di campo. Nel 2006 sono state sequestrate 5,4 tonnellate di marijuana, in gran parte "Made in Albania". Una volta giunta in Italia, principalmente sulle coste salentine con il supporto delle organizzazioni criminali locali, la cannabis albanese viene recapitata sull'intero territorio nazionale attraverso i grossisti siciliani e calabresi.
È in questo caso che lo spinello alimenta soprattutto il mercato dei nuovi schiavi. Il patto tra cosche schipetare, Cosa nostra e 'ndrangheta è collaudato: «I clan italiani - spiegano dalla Direzione investigativa antimafia - ottengono la droga che poi rivenderanno "al dettaglio", gli albanesi in cambio hanno il permesso di gestire lo sfruttamento delle migliaia di donne dell'est". Se volete chiamatela ancora "droga leggera".

L’Avvenire

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