lunedì 31 dicembre 2007

La Chiesa difende e promuove la dignità e il valore sacro della famiglia

Un Angelus tutto speciale quello di oggi, dedicato alla famiglia.
Benedetto XVI, ricordando la festa di oggi, della Sacra Famiglia, si è “collegato” con Plaza de Colon a Madrid, dove era in corso la Festa per la famiglia, un raduno voluto dai vescovi e dalle associazione cattoliche spagnole per riaffermare il valore della famiglia composta da uomo, donna, figli, la responsabilità educativa dei genitori e a necessità per la società di sostenere l’istituto familiare come luogo di accoglienza della vita di bambini e anziani.
Alla Festa per la famiglia hanno aderito tutte le diocesi e i movimenti ecclesiali. Si stima che nella Plaza de Colon a Madrid siano radunate almeno 1,5 milioni di persone.
Rivolgendosi a loro, il papa ha detto (in spagnolo): “Contemplando il mistero del Fglio di Dio che è venuto al mondo circondato dall’affetto di Maria e Giuseppe, invito le famiglie cristiane a sperimentare la presenza amorosa del Signore nella loro vita. Allo stesso tempo le invito a dare testimonianza davanti al mondo della bellezza dell’amore umano, del matrimonio e della famiglia, ispirandosi all’amore di Cristo per gli uomini. Essa [la famiglia], fondata sulla unione indissolubile fra un uomo e una donna, costituisce l’ambito privilegiato in cui la vita umana è accolta e protetta, dal suo inizio fino alla fine naturale”. In una velata polemica con il governo spagnolo, che ha dato valore giuridico alle unioni omosessuali e ha deciso di eliminare l’educazione religiosa dalle scuole, il pontefice ha aggiunto: “I padri hanno il diritto e l’obbligo fondamentale ad educare i propri figli alla fede e ai valori che danno dignità all’esistenza umana. Vale la pena lavorare per la famiglia e il matrimonio perché vale la pena lavorare per l’essere umano, l’essere più prezioso creato da Dio”.
In precedenza Benedetto XVI ha ricordato il valore della Festa di oggi, quella della Sacra Famiglia: “Seguendo i Vangeli di Matteo e di Luca, fissiamo lo sguardo su Gesù, Maria e Giuseppe, e adoriamo il mistero di un Dio che ha voluto nascere da una donna, la Vergine Santa, ed entrare in questo mondo per la via comune a tutti gli uomini. Così facendo ha santificato la realtà della famiglia, colmandola della grazia divina e rivelandone pienamente la vocazione e la missione.”
Il papa ha ricordato l’ampio insegnamento del Concilio Vaticano II sulla famiglia: “I coniugi afferma il Concilio – sono l’uno per l’altro e per i figli testimoni della fede e dell’amore di Cristo (cfr LG, 35). La famiglia cristiana partecipa così della vocazione profetica della Chiesa: con il suo modo di vivere “proclama ad alta voce le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata” (ibid.).
Ricordando poi Giovanni Paolo II, per il quale “il bene della persona e della società è strettamente connesso alla ‘buona salute’ della famiglia”, Benedetto XVI ha ribadito che “la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere ‘la dignità naturale e l’altissimo valore sacro’ del matrimonio e della famiglia(GS, 47)”.
Il papa ha infine salutato le decine di migliaia di fedeli in piazza san Pietro, augurando loro "gioia" per il nuovo anno.

sabato 29 dicembre 2007

La moschea va in bancarotta. Ma gli islamici vogliono più soldi

Il cantiere è fermo da oltre un mese e della moschea con minareto e cupola c’è soltanto uno scheletro in cemento armato. Succede a Colle Val d’Elsa, in provincia di Siena, dove la comunità dei musulmani (circa duecento i residenti) ha finito i soldi per costruire il tanto discusso centro islamico.A fermare gli operai è stato lo stesso direttore dei lavori: «Ho deciso io di bloccare il cantiere sia per esigenze progettuali sia per fare il punto economico», ha spiegato l’ingegnere fiorentino, Aurelio Fischetti.
Non sono bastati dunque i trecentomila euro stanziati dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena per la realizzazione del progetto e la colletta del venerdì praticata all’interno della comunità islamica non è sufficiente a far fronte alle spese nemmeno per concludere la prima parte dell’opera. Poi si dovrebbe passare alla costruzione della cupola, del minareto e del giardino con la fontana: il costo complessivo dell’opera è stimato in oltre un milione di euro. Al momento però gli obiettivi sono ben diversi: «Andare avanti a lotti, passo per passo», fanno sapere dalla comunità islamica. E a conferma delle difficoltà economiche in cui versa l’associazione dei musulmani di Siena e Provincia c’è anche l’ingiunzione di pagamento intimata dal Comune di Colle Val d’Elsa per il mancato saldo del diritto di superficie dell’area dove sta sorgendo la moschea.
Nessun pagamento dal novembre 2005, quando fu stipulato l’accordo tra il Comune e la comunità dei musulmani che prevedeva la cessione del diritto di superficie per 99 anni a circa undicimila euro all’anno. Il sindaco Paolo Brogioni (Pd) ha teso una mano ai musulmani dicendosi pronto a rivedere la norma dell’accordo definita «discriminatoria» rispetto ad altre Onlus del territorio. In poche parole, pur senza intervenire direttamente, il Comune cercherà di alleggerire i conti della comunità ma su questo punto tornano a farsi sentire i cittadini del comitato anti-moschea: «Non è vero che non sono stati dati soldi ai musulmani - spiega il consigliere comunale Leonardo Fiore -, l’associazione non ha pagato la concessione edilizia: ha speso solo cento euro per i diritti di segreteria invece che le migliaia di euro di un normale cittadino. E poi nel 2001 lo studio di fattibilità, costato undici milioni di vecchie lire, fu pagato dal Comune». Non solo, «l’amministrazione comunale è in difficoltà finanziaria eppure rinuncia a soldi che gli spettano per il diritto di superficie. Così non va bene e poi - conclude Fiore - l’avevamo sempre detto che il progetto era spropositato rispetto alla comunità islamica residente a Colle». E contro la moschea sono stati presentati anche numerosi esposti alla magistratura. Il comitato dei cittadini per presunti abusi edilizi e la Lega Nord di Siena per chiedere di verificare come siano stati spesi i soldi erogati dalla Fondazione Monte dei Paschi.
Una battaglia rilanciata lo scorso 24 novembre anche da Magdi Allam, a Colle Val d’Elsa per presentare il suo ultimo libro, che aveva messo in guardia sui legami tra la comunità islamica di Colle Val d’Elsa e l’Ucoii e criticato l’amministrazione locale: «È inammissibile che i cittadini non siano stati coinvolti». Insomma, dal momento in cui il Comune di Colle Val d’Elsa stanziò circa un miliardo e mezzo di lire per ampliare il già esistente Centro islamico (composto da appena tre stanze) ad oggi, il braccio di ferro sulla moschea non si è mai placato. Tre anni fa la richiesta di referendum, quando la moschea era ancora un progetto sulla carta, fu infatti bocciata. A intervenire fu anche Oriana Fallaci: in un’intervista al settimanale New Yorker, indignata di fronte al progetto, la giornalista e scrittrice promise: «Prenderò gli esplosivi e la farò saltare in aria»

giovedì 13 dicembre 2007

Immigrazione, On. Bertolini: "No al Melting Pot di Amato. Solo la difesa della nostra identità ci salverà dal declino"

"No al melting pot auspicato e sponsorizzato dal Ministro Amato. Soltanto una determinata e pragmatica difesa della nostra identità nazionale ci salverà dal declino e dall'assimilazione culturale". Lo ha detto il Vice Presidente dei Deputati di Forza Italia, Onorevole Isabella Bertolini in risposta al Ministro dell'Interno Giuliano Amato secondo il quale per salvare l'Italia dal declino è necessario un processo di fusione tra la popolazione immigrata e quella italiana. "In realtà - ha affermato l'Onorevole Bertolini - il governo Prodi vuole farci diventare terra di conquista. La sinistra, in nome di una malintesa integrazione, vorrebbe imporre un deprecabile quanto dannoso multiculturalismo che condurrebbe inevitabilmente la nostra società e la nostra nazione al disfacimento ed alla decadenza. Altri Paesi hanno percorso la pericolosa strada del 'melting pot' e si trovano oggi a dover affrontare la realtà delle banlieu e del conflitto sociale. Ribadire e rafforzare le ragioni della nostra identità, della nostra singolarità e specificità, appare a noi del centrodestra l'unica strada percorribile per affermare e difendere i valori, civili, sociali e religiosi nei quali crediamo".
Cosa ha detto il Ministro Giuliano Amato: "Se preferiamo difendere le nostre identità europee, così come sono ora, ed evitare tensioni e conflitti nei nostri territori limitando il numero degli immigrati, dobbiamo anche accettare il nostro declino, perché l'Europa tramonterà irreversibilmente, proprio come è accaduto a molte società in passato".
Ora si rischia una nuova invasione di immigrati.
Dopo la sanatoria con cui il Ministro Amato ha regolarizzato lo scorso anno 350 mila immigrati irregolari in più rispetto ai 170 mila previsti dal Decreto flussi, il Governo Prodi sta provocando una nuova invasione. Basta pensare infatti che il Decreto flussi 2007 prevede l'ingresso di 170 mila extracomunitari e in soli dieci giorni sono già stati richiesti 271.032 moduli.
No ad assunzioni riservate agli stranieri alle Poste
Sempre in tema di immigrazione, l'Onorevole Bertolini ha pesantemente criticato il bando delle Poste che prevede l'assunzione di 500 persone, di cui la metà stranieri: "La decisione di Poste italiane di riservare agli immigrati la metà delle 500 assunzioni part-time programmate in un prossimo futuro - ha affermato - è assolutamente inaccettabile. Presenterò immediatamente un'interrogazione al Ministro Padoa Schioppa, azionista di maggioranza dell'azienda, per bloccare un provvedimento che penalizza fortemente i nostri ragazzi poiché impedisce loro di avere le giuste opportunità nell'accesso al mondo del lavoro.
Quel Ministro che non molto tempo fa ha accusato gratuitamente i giovani italiani di essere dei bamboccioni, viziati, restii ad abbandonare la casa paterna perché scarsamente responsabilizzati, di fatto oggi permette che un'azienda pubblica li discrimini apertamente e ne soffochi le sacrosante ambizioni professionali. Ancora una volta il Governo Prodi penalizza i cittadini italiani e favorisce vergognosamente gli extracomunitari. Questo esecutivo non difende gli interessi nazionali. E’ necessario che tolga il disturbo al più presto".
Tratto da Notizie della Libertà - www.isabellabertolini.it

domenica 9 dicembre 2007

Giovanardi: Te ne vai o no?


LETTERA APERTA
Gent.mo Sig.
On. Carlo GIOVANARDI

Carissimo Carlo,
il Tuo pendolare fuori e dentro il partito, per poi finire nella sala d’attesa, sta creando sconcerto e incertezza fra tanti comuni amici.
Berlusconi si è inventato un partito nuovo di domenica, lo ha smontato alla stessa velocità la settimana dopo e, alla fine, ci propone un restyling di Forza Italia con la foglia di fico del PPE.
Il Tuo voler essere più berlusconiano di Berlusconi Ti ha giocato un brutto scherzo, che tra Serie C e Coppa del Mondo, interviste fatte prima e non dopo aver incontrato il Cavaliere, le improbabili e patetiche ricostruzioni apparse sul Tuo sito, nonché le sarcastiche tirate d’orecchi de Il Giornale e di Italia Oggi, hanno finito per aumentare la confusione di una situazione già abbastanza caotica.
Ricapitoliamo.
· L’UDC sostiene da sempre l’idea di costruire in Italia un soggetto politico di riferimento unitario alla grande famiglia del PPE: un partito moderno, moderato ma riformista, alternativo alla sinistra e al PD, a base democratica non solo nei proclami propagandistici da piazza, ma a partire dalla sua costituzione e nel suo funzionamento ad ogni livello territoriale.
· Berlusconi ha fatto, disfatto e rifatto un’altra cosa, un partito leaderistico e plebiscitario, chiede firme contro Prodi e le spaccia come adesioni al nuovo soggetto, indice un referendum popolare e ne proclama l’esito a urne aperte, non è interessato a progetti e programmi ma solo ai voti, scaglia sassate contro gli alleati e poi nasconde la mano con patetiche smentite e dissociazioni.
· E’ forse vero, non oso metterlo in dubbio, che il Cavaliere ha il miglior curriculum d’Italia e che non fallisce in nessuno dei Suoi sogni, ma noi abbiamo bisogno di stare alla realtà, ai fatti, ai desideri e ai bisogni del Paese, che da troppi anni subisce, e non governa, i processi e le trasformazioni che lo riguardano. Berlusconi ha grandissimi meriti politici, e la Storia li riconoscerà, ma i Grandi si riconoscono soprattutto quando costruiscono qualcosa capace di durare nel tempo oltre la propria vicenda personale.
· Per fare un passo avanti nella costruzione del PPE in Italia occorre il coraggio e l’umiltà, dote nella quale né Tu né il Cavaliere primeggiate, di farne alcuni indietro su questa forzatura chiamata Partito del Popolo delle Libertà, che complica, basta vedere la reazione di tutti i maggiori alleati, e non favorisce il rafforzamento del CentroDestra, in questo ennesimo momento di straordinaria debolezza del Governo Prodi e del CentroSinistra in generale.
· Ognuno farà le sue scelte, mi auguro con lo sguardo rivolto anche al Paese, ma oggi l’urgenza è la chiarezza, la lealtà e la sincerità fra di noi. Non si può stare nell’UDC solo per il tempo che manca alle nascita del PPL, non siamo in una sala d’attesa, siamo un soggetto politico vivo, che sviluppa fra la gente una linea politica, ideali, contenuti e programmi conseguenti.
· Eri già nel PPL, giornali e televisioni li vediamo tutti, ma una mattina il PPL non c’era più: hai furbescamente ripiegato nell’UDC dicendo che condurrai una battaglia interna per scioglierlo, ma la strumentalità di questa posizione è evidente a tutti, tu appena puoi te ne vuoi andare e, secondo me, fai male. Ho rispettato, e rispetterò sempre, le minoranze interne, sono il sale della vita democratica del partito, ma questa non lo è: siete un pezzo di partito che non sapendo quando può andare via intanto resta, inventandosi la storia del confronto negli organi per darsi una ragione di vita.
· Ti sfido a restare per costruire veramente il PPE in Italia, di cui il PPL non può esserne la radice, sfidando, come hai sempre fatto, le posizioni che non condividi con durezza e lealtà, accettando però, questo è il punto vero, le decisioni della maggioranza, affinché il partito si rafforzi dal confronto e dalla dialettica interna. Non andartene anche tu, saremmo tutti più poveri e più deboli nel sostenere i nostri valori e le nostre battaglie. Ma se hai deciso diversamente non star qui a farci perdere tempo, non è leale, non è da te.
· Piantala poi con le prediche su Follini e Baccini, la democrazia interna e la leadership di Casini; lo sappiamo bene, e Te lo abbiamo riconosciuto più volte, che anche l’UDC ha ampi margini di miglioramento su molti fronti: ma adesso queste sono solo scuse per non affrontare la questione che riguarda Te e i Tuoi amici: o state dentro in modo leale oppure andate dove avete già deciso di andare, ma consentite a noi di poter lavorare dentro l’UDC solo con chi, pur riconoscendone anche i limiti, in questo partito e nel suo progetto politico ci crede.
Con rinnovata stima e cordialità.

7 Dicembre 2007

Davide Torrini
(Direzione Nazionale UDC)

venerdì 30 novembre 2007

Carlo Giovanardi o forse no

Caro Direttore,
il Suo quotidiano ha pubblicato, con grande evidenza nella testata della prima pagina, la notizia che l'on. Carlo Giovanardi abbandonava l'Udc. Avendo sempre ieri, a Montecitorio, partecipato alla riunione dei deputati e senatori del mio partito ed avendo constatato con grande piacere la presenza dello stesso Giovanardi, La pregherei di farlo sapere con eguale spazio e rilevanza ai Suoi attenti lettori.
Lorenzo Cesa
Segretario Politico Udc
Caro Cesa, come vede pubblico la sua lettera in prima pagina, esattamente come ho pubblicato in prima pagina quella dell’onorevole Giovanardi l’altro giorno. E a questo punto però vorrei chiedervi una cortesia: d’ora in avanti se avete qualcosa da dirvi non potreste parlarvi voi due senza disturbare i lettori del «Giornale»? Lo dico con affetto, sia chiaro. Però, ecco, a volte basta una telefonata. Per altro mi risulta che voi parlamentari abbiate anche tariffe scontate. Se poi proprio volete strafare riunitevi tutti insieme. Non dovrebbe riuscirvi difficile: visto il numero potrebbe bastare anche un ascensore.
Ora, però, visto che avete scomodato i lettori del «Giornale» lasciate che spieghi loro come è andata. L’altro giorno ci chiama l’on. Giovanardi. Propone una lettera in cui annuncia che uscirà dall’Udc per aderire al nuovo Partito del Popolo. La pubblico in prima pagina. E la notizia viene ripresa un po’ da tutti i giornali.
Si badi bene: non si tratta di un pezzo scritto da quei cattivoni dei giornalisti, né di un’intervista con il solito intervistatore che non capisce mai nulla. Macché. È un pezzo di Giovanardi. Scritto di suo pugno. Carta canta. E qualche volta stona pure. In effetti all’Udc devono essere proprio un po’ stonati in questo momento. Infatti ieri ho ricevuto questa lettera di Cesa e una telefonata di Casini: «Ma Giovanardi non è uscito dall’Udc», dicono.
Oh bella: diteglielo a lui se sta dentro o fuori dall’Udc. È un problema vostro. Cioè suo. Si decida. Lo tiri a sorte, giochi ai dadi, faccia pari e dispari con qualcuno e se non trova nessuno che gli dà retta, si metta davanti allo specchio, così nel frattempo magari smette di arrampicarcisi su.
Per quanto mi riguarda, noi abbiamo già perso troppo tempo con questo tipo di giochini. Gli italiani non ne possono più. Ve ne rendete conto? La vostra logica è così vecchia che se nell’Udc ci fosse Muzio Scevola sarebbe l’uomo del futuro. I vostri bizantinismi hanno stancato. E poi via se non riuscite a farvi capire quando scrivete una lettera, come sperate di farvi capire sulla legge elettorale? E sul resto? Poi vi stupite se gli elettori vi respingono come si respinge il bacio di una betoniera. Suvvia, c’è già abbastanza caos nel mondo della politica. Almeno evitate il ridicolo. Nessuno ha mai preteso che foste coerenti per tutta una vita. Ma coerenti per tutta una lettera, questo sì, forse possiamo chiedervelo. Ce la potete fare anche voi
Mario Giordano - Il Giornale

sabato 10 novembre 2007

L’imam dà lezioni in tv: «Come picchiare le mogli senza fare peccato»

Il predicatore Muhammad Arifi educa i giovani alla libanese Lbc: «Le botte siano come il bacio della buonanotte. Meglio se col bastone»
Il matrimonio? È un ring dove chi rischia il ko è solo lei. Certo non tutti i musulmani la pensano così, ma lo zelante predicatore saudita Muhammad Al Arifi, interprete del Corano e del pensiero del Profeta per la televisione libanese Lbc, ha pochi dubbi. I suoi insegnamenti televisivi ai futuri mariti lasciano poco spazio all’immaginazione.
Le botte, a sentir lui, sono una componente essenziale della vita coniugale, come il buongiorno del mattino e il bacio della buonanotte. «Allah - spiega ai suoi allievi il religioso saudita - ha dato all’uomo un corpo più forte che alle donne». Quella dotta considerazione diventa la pietra angolare per spiegare l’inevitabilità delle busse, la legge del più forte che ogni moglie farà meglio a comprendere e ad accettare. Altrimenti le buscherà senza manco capire perché.Loro, le donne hanno, del resto, ben poco da lamentarsi: «Il Signore le ha dotate di corpi delicati, fragili soffici perché loro usano meglio le emozioni del fisico... mentre l’uomo deve per forza usare le mani per riportare la moglie alla disciplina, lei può convincerlo usando le lacrime».
Insomma lui magari la picchia, ma lei può rifarsi con un bella frignata. «L’uomo - precisa il dotto Al Arifi - è condannato a infuriarsi, la donna ottiene quel che vuole piangendo e facendo leva sulle emozioni». L’impari battaglia - fa intendere il religioso - è impossibile da vincere e i maschietti dopo aver strillato una, due, dieci volte non possono che passare all’azione. Attenzione, randellare la moglie non è né immediato, né inevitabile. Prima di farla nera ci sono almeno due passaggi obbligati: «Prima mettetela sull’avviso, una due tre quattro anche dieci volte, se questo non basta incominciate con il non farvi trovare a letto». L’abbandono del talamo, assicura Al Arifi, dovrebbe bastare. Una moglie non vedendo il marito coricarsi dopo una giornata di silenzi dovrebbe capire che è ora di far marcia indietro.
Ma ci sono anche le cocciute e le egoiste. Sono quelle così sicure di sé e così convinte di aver ragione da dire fra sé e sé: «Grazie a Dio se n’è andato per i fatti suoi, così avrò tutto il letto per me, potrò dormire da sola e rotolarmi da una parte all’altra come piace a me». Quando la moglie supera anche quell’estrema soglia d’impertinenza, il povero marito deve per forza ricorrere a quella che Al Arifi chiama «terza opzione». «Bastonarla», semplifica soddisfatto il pubblico dello studio televisivo. Al Arifi scuote la testa, sorride per tanto sano e naturale impeto. «Questo è giusto, ma come si fa a bastonarla, sentiamo un po’...». Alla fine tocca al religioso spiegare la raffinata arte delle botte coniugali. Innanzitutto niente colpi al volto. La regola del resto vale anche per asini e cammelli: «Se volete far camminare un cammello o un asino non potete colpirlo in faccia, quel che vale per le bestie deve valere anche per gli esseri umani». Sbaglia anche chi risparmia alla moglie denti rotti e occhi neri, ma la legna sul resto del corpo.
Il segreto, consiglia Al Arifi, sta nell’interpretare la regola islamica che impone di colpirla «con un bastoncino». Se nell’ineluttabile urgenza della «terza opzione» il marito non trova uno stecchino, può usare «qualcosa di simile», ma non mettere mano a bottiglie, a spranghe o coltelli. Quelli - raccomanda il religioso - sono proibiti. «Fate sempre attenzione – aggiunge – a usare un bastoncino sufficientemente gentile» perché menare il somaro o la moglie non è la stessa cosa: «Un asino comprende solo le botte, ma una donna è, in genere, più sensibile alle emozioni». Dunque meglio contenere l’ira, non lasciarle troppi segni addosso e non farla sanguinare. Mai e poi mai imitare quelli che «colpiscono le mogli come se prendessero a pugni il muro, centrandole da destra a sinistra, senza risparmiarle neppure i calci... Fratelli – si raccomanda Al Arifi - così non va bene, non potete trattare così con un essere umano».
La moglie va bastonata non per farle male – spiega il predicatore - ma per farle capire di esser andata troppo oltre, di aver superato il limite della maschia sopportazione. Insomma botte a volontà, ma con virile lucidità e mascolino giudizio.
il Giornale

venerdì 9 novembre 2007

Non tutto ciò che è legale è morale

"Il dialogo non è un assoluto che sostituisce la verità”.
Affermazione che dovrebbe essere autoevidente, ma drammaticamente non è: nella cultura laica, ma persino in quella ecumenica e interreligiosa. Così che dire: “Essere fedeli alla propria carta d’identità religiosa è il miglior passaporto per entrare nel territorio religioso altrui” diventa un sasso nello stagno di un mondo contemporaneo dominato da “agnosticismo religioso e relativismo etico”.
A lanciarlo non un provocatore qualsiasi, bensì l’ arcivescovo Angelo Amato, segretario della congregazione per la Dottrina per la fede, il numero due del cardinaleWilliam Joseph Levada. Nemmeno la sponda da cui lo lancia è un luogo qualunque: è la prima pagina di ieri dell’Osservatore Romano.
Il dialogo è pratica relativa per eccellenza, richiede interlocutori diversi, che siano però consapevoli della propria “carta d’identità”. Tanto più in una società dove “prevale oggi il pensiero debole, secondo cui tutto sarebbe relativo e pertanto non ci sarebbe una verità delle cose”. Lungi dall’essere questione solo ecclesiale, parlare di un dialogo da attuare con le armi di “verità, carità e libertà” è insomma una sfida culturale che entra diritta, e di diritto, nella battaglia delle idee. Ed è proprio questo che accetta di fare, nell’intervista realizzata ieri da Giampaolo Mattei per il quotidiano della Santa Sede, questo salesiano pugliese e riservato, solido teologo di 69 anni che nel 2002 fu chiamato a sostituire un altro figlio di don Bosco, il cardinale Tarcisio Bertone.
Monsignor Amato risponde a domande cruciali sulle ragioni e gli strumenti del dialogo. Una parola, non teme di lasciar intendere, a volte sopravvalutata, soprattutto nella chiesa. A proposito del dialogo ecumenico, dice ad esempio che per affrontarlo “non si può essere dei dilettanti”. Un colpo di sciabola ai paladini di una visione ecclesiale che, sulle orme del Concilio, ha spesso usato l’aggettivo “ecumenico” per mettere tra parentesi l’aggettivo “cattolico”.
Ma è spiegando come dialogare con la società laica (Amato più esplicitamente parla di uomo “nichilista” e “relativista postmoderno”) che il segretario della congregazione per la Dottrina della fede affronta senza perifrasi alcuni temi decisivi. Ad esempio, quando afferma che in un mondo dominato dal relativismo e che non permette di fare riferimento a norme morali, “di solito si ritiene etico quello che è legale, ad esempio aborto, divorzio”.
Ovviamente dovrebbe essere viceversa; ma non solo: il giudizio di Amato va a interrogare il cuore della cultura laicista, e non per niente un argomento simile è stato molte volte evocato nel dibattito sulle questioni bioetiche.
L’arcivescovo smaschera una pretesa tanto subdola quanto inaccettabile, quella che vorrebbe tracciare per “via legale” la trasformazione in “diritto” di qualcosa che diritto non è: esiste un “diritto” a divorziare, o peggio ad abortire? Dire che ciò che viene sancito da una legge possieda di per sé un “valore etico”, ragiona Amato, equivale nei fatti a liquidare il valore etico opposto.
E’ la storia dei passati decenni, e non è detto che non possa essere messa in discussione. Se ne può dialogare, senza rinunciare alla verità.
Interessanti sono anche le affermazioni a proposito del dialogo con le altre religioni (l’incontro tra Benedetto XVI e il re saudita Abdullah non viene citato, ma evidentemente non è neppure assente). Amato rivendica innanzitutto che vi sia “pari dignità personale degli interlocutori e non dei contenuti”. Si sente profumo di “Dominus Iesus”, e non è un caso: visto che il segretario è stato tra i principali estensori della Dichiarazione firmata da Joseph Ratzinger. C’è consapevolezza che “nell’odierna società multireligiosa si afferma sempre più un pensiero forte, promosso dalle diverse convinzioni religiose”, e Amato saluta positivamente il fenomeno. Ma con sicurezza critica anche “una certa teologia” secondo cui “tutte le religioni sono altrettante vie alla salvezza”. Una visione relativista del dialogo che non è certo quella di Benedetto XVI. E neanche, s’intuisce, del suo autorevole giornale.
il Foglio

Continuiamo a piegarci all'islam. Tariq Ramadan sale in cattedra nel paese di Theo van Gogh

A Downing Street approdò a due settimane dalle stragi di Londra, mentre l’Olanda veniva schiacciata sotto il peso delle proprie illusioni dalla confessione di Mohammed Bouyeri: “Ho ucciso io Theo van Gogh, se fossi libero lo rifarei”.Ora il controverso islamista svizzero Tariq Ramadan, che si muove nell’alveo dei Fratelli musulmani (è anche nipote del fondatore), che ha l’abitudine di definire gli attentati semplici “interventi”, che condanna gli attacchi ma li correda con giustificazioni e infingimenti retorici, che il terrorismo infanticida lo definisce “resistenza”, ha ottenuto un prestigioso incarico all’Università di Leiden.
Il Sun, il tabloid più letto d’Inghilterra, allora rivelò l’imminente arrivo di Ramadan mettendo la sua foto in prima pagina, sotto il titolo: “Bandito negli Stati Uniti per i suoi legami con il terrorismo. Bandito in Francia per i suoi legami con il terrorismo. Benvenuto in Inghilterra alcuni giorni dopo gli attacchi di al Qaida. Perchè?”. La stessa domanda ora rimbalza sui quotidiani olandesi.Ramadan, che nel 1993 partecipò al boicottaggio dell’opera di Voltaire “Mahomet ou le fanatisme”, occuperà per due anni la cattedra di islamologia intitolata al Sultano dell’Oman, finanziatore del corso universitario. Ieri il ministro dell’Educazione, Ronald Plasterk, definendo Ramadan un “uomo molto interessante”, ha dato parere positivo al suo arrivo dopo settimane di furenti polemiche. Il Partito della Libertà ha denunciato la politica culturale di Ramadan ricordando che non ha mai condannato la lapidazione delle donne o le pratiche di mutilazione genitale. E che l’Olanda è il paese di accoglienza e rigetto di Ayaan Hirsi Ali, la dissidente somala che ha subito una mutilazione e che per prima è entrata nei ghetti musulmani olandesi come assistente sociale. Quei ghetti che la fratellanza musulmana guidata da Yusuf al Qaradawi auspica al fine di preservare l’identità musulmana. “Il sultano di uno stato islamofascista pagherà due milioni di euro per influenzare le università olandesi” ha detto il partito di Geert Wilders, il politico conservatore costretto a vivere per baracche militari a causa delle minacce salafite.
Il dissidente iraniano Afshin Ellian, che insegna a Leiden e anche lui costretto a muoversi con una scorta anche all’interno del campus, al Foglio spiega che “la facoltà di teologia è libera di assumere Ramadan, in Olanda vige la libertà accademica. Ma Ramadan non è uno scienziato, quanto un ideologo, un criptofondamentalista. Crede nalla supremazia della sharia. E’ molto furbo nell’usare due linguaggi, uno europeo e uno tipicamente arabo. Nessuno ricorda i suoi sermoni islamici ai giovani musulmani francesi. La teologia in Olanda, e la cultura in generale, è diventata così naif. Pensano che sia bene avere un uomo così famoso come Ramadan”. La candidatura di Ramadan è sponsorizzata dal più celebre islamologo olandese, Ruudt Peters, che ha aperto alla sharia, affascinato dal fondamentalismo e che lambisce l’antisionismo.Ellian non si meraviglia dell’incarico a Ramadan. Ricorda che pochi mesi fa Pieter Donner, ex ministro della Giustizia, affermò che “i gruppi islamici hanno il diritto di arrivare al potere per via democratica. Se i due terzi degli olandesi volessero introdurre la sharia, questa possibilità dovrebbe essere concessa. Sarebbe uno scandalo dire che ‘non deve essere permesso’. Conta la maggioranza, questa è la democrazia”. Affermazione su cui Ramadan non avrebbe nulla da obiettare.
Lo scrittore olandese Leon de Winter, parlando con il Foglio, lancia una provocazione: “Chiedo al sultano dell’Oman di concedere una cattedra di diritti umani ad Ayaan Hirsi Ali. L’università di Leiden fu creata dal Guglielmo di Orange come dono al popolo olandese che aveva combattuto contro lo tirannia spagnola. Ora quella stessa università accetta soldi da un altro tiranno”. Il motto dell’università di Leiden è “Praesidium Libertatis”. “I Fratelli musulmani, di cui Ramadan è espressione, vogliono sì la libertà. Ma solo per l’islam. Ramadan parla di pace ai kaffirs, gli infedeli, e predica jihad quando si rivolge ai musulmani”. Nel 1933 lo storico Johan Huizinga era rettore dell’Università di Leiden e in quella veste ingaggiò una epocale battaglia per impedire una conferenza di Johannes von Leers, celeberrimo antisemita apprezzato da Joseph Goebbels. Huizinga portò avanti solitario una guerra accademica che gli sarebbe costata la morte e la tortura nelle segrete naziste. Nel suo capolavoro “Lo scempio del mondo”, scritto nel 1943 in un campo di detenzione della Gestapo, Huizinga usò parole che in questi giorni sono risuonate in Olanda: “Nessuno si stupirebbe se un bel giorno questa nostra demenza sfociasse in una crisi di pazzia furiosa che, calmatasi, lascerebbe l’Europa ottusa e smarrita; i motori continuerebbero a ronzare, e le bandiere a sventolare, ma lo spirito sarebbe spento”.
Arruolando un “leader di guerra” come Ramadan, per usare la definizione della coraggiosa Caroline Fourest, assumendo un agitatore la cui concezione della libertà è tale da contemplare un “orrendo e razzista” rivolto a Robert Redeker mentre si dava alla clandestinità, l’Olanda svende lo spirito di uno dei resistenti più eccelsi della propria storia. Per riprendere il titolo del capolavoro di Huizinga, è l’autunno della libertà accademica. Nella stessa Olanda che accoglie a braccia aperte Tariq Ramadan un grande storico olandese, Pieter van der Horst, un anno fa non ha potuto concludere la propria carriera con una lezione sull’antisemitismo islamico. Il rettore gli intimò di eliminare ogni riferimento all’islam.
il Foglio

domenica 4 novembre 2007

Nel carcere di Belluno ormoni gratis per i detenuti transessuali

Più che un carcere, un hotel a cinque stelle. Ma solo se i detenuti sono transessuali. Sembra uno spot studiato per attirare clienti in cerca di emozioni forti, e in realtà è il biglietto da visita del carcere Baldenich di Belluno che, oltre a riservare ai trans le camere (difficile chiamarle celle) migliori, con al massimo due letti, acqua calda, doccia privata e piastrelle di pregio, rimborsa a pie di lista il costo delle cure ormonali.
Mille euro al mese, più o meno, per i 12 trans detenuti attualmente, che il contribuente versa per non alterare l’equilibrio psicofisico di chi ha scelto un sesso diverso da quello che la natura gli/le ha assegnato alla nascita.La particolarità era già nota nel pianeta carcerario italiano, tanto che alcuni trans farebbero carte false pur di essere ospitati in questa casa di cura.
Sì, perché chi vuole essere donna senza averne la natura deve svenarsi ogni volta che fa un giro in farmacia: se la dose giornaliera di femminilità te la passa la mutua, sai che pacchia. Nelle altre carceri italiane questa agevolazione non è concessa, forse perché equipara gli ormoni a una sorta di operazione estetica, tipo un intervento per modellare il seno con una robusta iniezione di silicone.
Questione di interpretazioni. La direttrice del carcere di Belluno, Immacolata Mannarella, interpellata dal Gazzettino, ha spiegato che «si tratta dell’applicazione di un principio di natura costituzionale, che trova riconoscimento anche nelle norme dell’ordinamento penitenziario: il principio di tutela della salute». «L’ottica è la tutela e il non peggioramento della salute di chi ha già iniziato delle cure - spiega -. I trattamenti sicuramente non cominciano qui, nessuno viene da noi per cambiare sesso. Non diamo ormoni a chi non li deve prendere. Se tagliassimo le dosi massicce di ormoni a chi già le prende, provocheremmo in quella persona una serie di gravi scompensi dal punto di vista fisico, come pericolose alterazioni nella risposta cardiovascolare».
In sostanza, è il ragionamento della Mannarella, così come i detenuti non pagano il ticket quando il medico prescrive loro degli antibiotici, allo stesso modo vanno trattate le ricette per gli ormoni.Il problema è che ai transessuali liberi questa garanzia non viene concessa e, tranne in Toscana, dove gli ormoni sono passati dallo stato, la scelta di cambiare sesso comporta una spesa non indifferente e perpetua. Per il momento i più arrabbiati sono gli altri detenuti del carcere Baldenich, i cosiddetti normali, sistemati in 6-7 per cella, con un lavandino e acqua fredda e con un pavimento di grigio cemento. I progetti per migliorare la struttura ci sono, ma per ora sono arrivati solo i fondi per la sezione transessuali, «che vanno trattati con tatto e accortezza, vista la vita complicata e travagliata che fanno», precisa la direttrice.
Il Giornale

sabato 3 novembre 2007

Papa Benedetto XVI: Sia riconosciuta anche ai farmacisti l'obiezione di coscienza”

CITTA’ DEL VATICANO - Il diritto all'obiezione di coscienza deve essere riconosciuto anche ai farmacisti. Lo chiede Benedetto XVI nel discorso rivolto alla Federazione Internazionale dei Farmacisti cattolici."
L'obiezione di coscienza - ha detto - e' un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione permettendovi di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo le scelte chiaramente immorali, come per esempio l'aborto e l'eutanasia".
Nel suo discorso, Papa Benedetto ha esortato a combattere la mentalita' che "anestetizza le coscienze per esempio sugli effetti delle molecole che hanno come scopo quello di non permettere l'annidamento (e lo sviluppo) dell'embrione o di abbreviare la vita di una persona"."Il farmacista - ha sottolineato - deve invitare ciascuno a un sussulto di umanita' perche' la vita umana sia difesa dal concepimento alla morte naturale".
Rivolgendosi ai partecipanti al Congresso Internazionale dei Farmacisti cattolici, Benedetto XVI ha affrontato anche il problema del progresso della medicina, che porta grandi benefici ma talvolta espone i pazienti ai rischi di una incontrollata sperimentazione. "Nessuna persona - ha scandito - puo' essere utilizzata in maniera sconsiderata come un oggetto per realizzare sperimentazioni terapeutiche che devono svilupparsi secondo protocolli rispettosi delle norme etiche fondamentali".
Secondo il Papa, "lo sviluppo attuale degli strumenti medicamentali e delle possibilita' terapeutiche che ne derivano chiedono ai farmacisti di riflettere sulle funzioni sempre piu' ampie che sono chiamati a svolgere in quanto intermediari tra il medico e il paziente". I farmacisti sono cioe' chiamati a svolgere "un ruolo educativo con il paziente per un uso giusto della cura medica e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche sull'utilizzo di un determinato farmaco".
Ai farmacisti cattolici, Benedetto XVI ha anche chiesto di "aiutare i giovani che entrano nelle differenti professioni farmaceutiche a riflettere sulle implicazioni etiche sempre piu' delicate delle loro attivita' e decisioni". Si tratta di "approfondire la loro formazione non soltanto sul piano tecnico ma anche su cio' che riguarda le questioni bioetiche".
Esse si fondano sul presupposto che "l'essere umano, creato ad immagine di Dio, deve essere al centro delle ricerche e delle scelte in campo biomedico".In questo contesto, il Pontefice ha infine ripetuto il suo appello affinche' i farmaci salva-vita siano garantiti ai Paesi del Terzo Mondo che non possono acquistarli. "Le case farmaceutiche - ha insistito - favoriscano l'accesso alle terapie per i piu' poveri".
Per Benedetto XVI, "e' necessario che le diverse strutture farmaceutiche, i laboratori e i centri ospedalieri abbiano la preoccupazione della solidarieta' nell'ambito terapeutico, per permettere un accesso alle cure e ai farmaci di prima necessita' a tutti gli strati della popolazione, in tutti i Paesi".

La Nasa cancella Cristo

Finché lo dice Wikipedia, tanto quanto. Ma se ci si mette pure la Nasa, allora l’indizio va preso sul serio. L’enciclopedia online aggiornata dagli utenti a stelle e strisce racconta di una nuova campagna per cambiare la datazione. Diversi gruppi religiously correct stanno cercando di spedire in cantina la dicitura tradizionale bC (before Christ) e aD (annus Domini).Da noi i comunissimi avanti e dopo Cristo da sussidiario di quarta elementare. Sostituendole con Bce (Before Common Era) e Ce (Common Era). «Per rispetto nei confronti di tutte quelle persone che cristiane non sono - strillano dal loro sito internet gli adepti della comunità dell’Ontario Religious Tolerance - E ormai nel mondo i “non cristiani” sono il doppio dei cristiani. Forzare per esempio un indù a utilizzare il calendario gregoriano sarebbe come costringerlo ad ammettere la superiorità del Dio cristiano e di Gesù Cristo».Fin qui il delirio di qualche fanatico. Poi si scopre, sempre scartabellando in rete, che sulle pagine della Nasa questo nuovo sistema (Bce-Ce) non solo è citato, ma anche incoraggiato. «Su queste pagine - si legge - preferiamo utilizzare il metodo Common era al posto di bC e aD. Questi termini moderni sono preferibili perché non impongono nessuna interpretazione teologica sul lettore. Senza contare i numerosi vantaggi in liste e tabelle generate al computer». Revisionismo storico, e un pizzico di disinformazione tecnologica, gentilmente offerti e propagandati dall’agenzia spaziale e aeronautica americana.Sulle pagine americane di Wikipedia il nuovo sistema si sta diffondendo in nome della tolleranza dei diversi culti religiosi. In Italia siamo ancora indietro. «Mi sembra strano questo religiously correct dell’ultima ora - sbotta Frieda Brioschi, portavoce tricolore degli aggiornatori dell’enciclopedia online - Come mi pare azzardato voler rivoluzionare un sistema comune di definire la datazione che funziona da secoli. Noi in Italia non abbiamo ricevuto nessuna indicazione sul cambiamento di sistema». Restiamo conservatori insomma. «Wikipedia Italia non cambierà - continua Brioschi - Di fronte a queste cose è meglio sedersi un attimo e aspettare che passi».Nel 2007 Bce, dunque, si vorrebbe seppellire Dionigi il Piccolo, il monaco originario della Scizia che datò la nascita di Cristo e introdusse la dicitura aD e bC. E con lui strappare le pagine del calendario giuliano e gregoriano, capaci di unificare il mondo nella datazione e nello scorrere del tempo. Ci aveva provato l’intellighenzia della Rivoluzione d’Ottobre con il calendario Soviet. Poi la Ddr che sostituì la sigla convenzionale con Uz (Unserer Zeit, il nostro tempo). Sono finiti per terra, abbattuti a picconate il 9 novembre 1989. Vuoi vedere che porta male? A Wikipedia e alla Nasa si può consigliare un repentino ravvedimento. O, quanto meno, un buon antivirus.
il Giornale

venerdì 28 settembre 2007

Al Qaeda si finanzia nelle moschee durante il Ramadan

Il mese di Ramadan, sacro per tutti i musulmani, è diventato un problema per gli apparati di sicurezza della maggior parte dei paesi arabi. Nel corso del mese di digiuno si svolgono numerose attività, come gli incontri comunitari nelle moschee e la raccolta della Zakat, che servono ai gruppi terroristici per reclutare nuovi seguaci e rifornirsi di danaro.
In particolare, il problema si pone in Algeria, dove è certo che parte dei soldi della Zakat versati dai musulmani vengono usati per finanziare al-Qaeda nel Maghreb islamico. A dirlo chiaramente sono stati il Dipartimento di Stato americano e l'ambasciata statunitense ad Algeri.
Secondo quanto riporta il giornale arabo 'al-Quds al-Arabi', i diplomatici americani sono molto preoccupati per il fatto che il danaro versato dai fedeli - in ottemperanza al terzo pilastro dell'Islam, che prevede la sua redistribuzione ai più poveri della comunità - possa invece finire sui monti dove si nascondono i terroristi. Per questo una delegazione del governo americano ha incontrato nei giorni scorsi il ministro algerino per gli Affari religiosi, Bouabdullah Ghulamallah, al quale ha espresso le proprie preoccupazioni.
Il ministro, però, sembra che abbia risposto stizzito alle domande degli americani, sottolineando come la responsabilità dell'uso di questi soldi non sia del ministero bensì degli stessi donatori. Un funzionario del ministero ha inoltre aggiunto che Ghulamallah avrebbe anche respinto la richiesta degli americani di affiancare ai loro dirigenti una squadra di tecnici per la gestione dei fondi della Zakat.Riferiscono alcune fonti che ogni anno, in Algeria, si raccolgono durante il Ramadan circa un miliardo di dollari, buona parte dei quali dovrebbero finire in un conto corrente bancario del ministero per gli Affari religiosi per essere convertiti in opere destinate ai più poveri. L'unico accordo trovato con gli americani, invece, sembra sia stato quello di dar vita, con i soldi della Zakat, a un fondo con il quale prestare danaro alle famiglie più bisognose, senza interessi, per dare vita a piccoli progetti imprenditoriali che li aiutino a diventare economicamente indipendenti.Maggiori preoccupazioni per l’impiego della Zakat a fini terroristici, si hanno tuttavia in paesi come l’Arabia Saudita, dove, grazie alla presenza di generosi emiri, i gruppi radicali islamici riescono a raccogliere molti più fondi. In generale, comunque, l'avanzata del terrorismo in tutti paesi arabi sta costringendo le autorità locali a prendere nuovi provvedimenti per evitare che il Radaman ed i suoi riti diventino occasione per il finanziamento e la propaganda delle cellule di al-Qaeda.
Stando alla Tv satellitare ‘al-Arabiya', il ministero degli Affari islamici di Ryiad ha diffuso nuove direttive sulla gestione dell'Iftar, la tradizionale rottura del digiuno, e la raccolta della Zakat. Per quanto riguarda l’Iftar, che consiste nell’offrire da mangiare a un gruppo quanto più numeroso di persone come forma di espiazione dei propri peccati, se prima i fedeli erano soliti organizzare questi pranzi collettivi all'interno delle moschee in modo autonomo, da oggi in poi potranno farlo solo dopo aver ricevuto un regolare permesso da parte delle autorità locali.
Più dure invece sono le nuove norme sulla raccolta della Zakat. In passato, nel regno saudita, associazioni private e moschee raccoglievano autonomamente il denaro dai fedeli, redistribuendolo come meglio credevano. Questo genere di pratica ha permesso il finanziamento di gruppi estremisti costringendo il governo ad intervenire.
Sarà proibito alle persone non autorizzate di esporre casse per la raccolta delle offerte nei negozi e nelle moschee, così come non sarà più possibile chiedere denaro per strada. Il delegato del ministero per gli Affari islamici, Abdelaziz al-Seideri, ha lanciato un appello a tutti i fedeli e agli Imam attraverso l'agenzia di stampa saudita, affinché il denaro raccolto per il Ramadan venga dato solo agli enti caritatevoli autorizzati dal governo.
Hazma Boccolini

venerdì 21 settembre 2007

Comunismo: l’URSS dietro le BR e il terrorismo in Europa

Non ho mai avuto dubbi che all’origine delle Brigate Rosse ci fosse l’Unione Sovietica. E sono sempre stato convinto che sullo sfondo del caso Moro ci fosse lo scontro tra i due blocchi, quello dell’Est e quello dell’Ovest. In questo quadro l’Italia rappresentava il ventre il molle dell’Alleanza Atlantica e veniva massacrata dai Servizi Segreti del Patto di Varsavia».
Con queste parole, Franco Mazzola, nel 1978 Sottosegretario alla Difesa, quindi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per i Servizi Segreti nei governi Andreotti, Cossiga e Forlani, torna a parlare del sequestro Moro. L’occasione è la nuova pubblicazione del suo libro a cura dell’editore torinese Nino Aragno vent’anni dopo, stavolta con la firma dell’autore, che nella prefazione spiega anche perché nel 1985 decise di pubblicare con Rusconi scegliendo l’anonimato e scatenando interrogativi e sospetti.
«Nel corso degli anni della mia vita di parlamentare avevo tenuto un diario nel quale annotavo giornalmente i fatti politici ma anche quelli famigliari e della vita quotidiana. L’esistenza di quel diario – scrive il sen. Mazzola – era abbastanza nota non solo nella cerchia dei miei amici, ma anche nell’ambiente politico e molti ritenevano che quelle pagine contenessero notizie inedite sulle vicende del tempo e capaci di gettare una luce sui fatti del terrorismo ed in particolare su molti aspetti oscuri della vicenda del sequestro e dell’assassinio di Moro».
La prima edizione de I giorni del diluvio andò esaurita in pochi giorni e non ne venne pubblicata una seconda. «Ho sempre avuto il dubbio – afferma l’autore all’“ADNKRONOS” – che fosse stato ritirato».
L’ex-Sottosegretario alla Difesa, componente del Comitato di crisi per il sequestro Moro che Francesco Cossiga istituì al Viminale, ribadisce la sua convinzione che «all’origine del terrorismo in Europa ci fosse il Kgb, con il suo potentissimo primo direttorato centrale che utilizzava i cecoslovacchi per le operazioni, per poi sostituirli con i bulgari quando Jan Seina passò all’Occidente nell’agosto del ‘68».
A quasi trent’anni dal rapimento del Presidente della DC da parte delle BR, Mazzola ammette che «poco o nulla è stato detto di come siano andate effettivamente le cose». Ad esempio: «ho sempre considerato incredibile – osserva – che la Renault 4 rossa delle BR potesse aver attraversato Roma la mattina del 9 maggio con il cadavere di Moro nel bagagliaio per arrivare a via Caetani. Quella macchina non ha percorso molta strada. E ritenevo invece che il falso comunicato del lago della Duchessa, del 18 aprile 1978, non fosse opera dei Servizi Segreti, ma al contrario un’idea partorita da qualcuno interno alle BR come diversivo per poter spostare l’ostaggio da una prigione all’altra. Ricordo di aver avvertito io stesso Cossiga che il lago era ghiacciato, ma vollero effettuare ugualmente tutte le ricerche».
Nel 1978 il Sisde, Servizio Segreto per la Sicurezza Interna, aveva due mesi di vita. La legge 801 era appena entrata in vigore e il sen. Mazzola rammenta come il gen. Giulio Grassini, neodirettore dell’ intelligence civile, disponesse di quattro stanze e venti persone: «si lamentava di non riuscire a fare nulla. Nel ‘79 e nell’80 ero Sottosegretario ai Servizi e dovetti ingaggiare un braccio di ferro con il Direttore del Sismi, Giuseppe Santovito, che non voleva passare al Sisde il materiale che riguardava gli affari interni».
«In questo quadro mi riesce quindi difficile ritenere – osserva ancora il sen. Mazzola – che quelle strutture potessero avere un controllo capillare delle Brigate Rosse tanto da avere persino delle basi nelle stesse zone che ospitavano i covi dell’organizzazione guidata da Mario Moretti».
Sebbene tutti i nomi siano in codice, ne I giorni del diluvio si riconoscono senza difficoltà i protagonisti dello scenario internazionale del 1978. Il colonnello Gheddafi, il capo dei Servizi Segreti libici, Yalloud, il leader dell’Olp Yasser Arafat, il colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut, l’uomo che venne incaricato di stabilire un contatto con le BR durante i 55 giorni del rapimento Moro.
L’ex Senatore ammette infine di essere sempre stato convinto della responsabilità dei bulgari per l’attentato a Papa Giovanni Paolo II. «Nell’estate dell’82 rilasciai un’intervista ad una tv inglese dichiarando che i bulgari avevano ereditato il ruolo dei cecoslovacchi come braccio armato dei Kgb per le operazioni terroristiche. La tv italiana, alla quale gli inglesi offrirono il servizio, la mandò in onda alcuni anni dopo».
Corrispondenza romana

giovedì 20 settembre 2007

Choc a scuola, arriva un manuale per piccoli atei

Il testo scritto da un docente per mettere in ridicolo i credenti. Circola in diversi istituti del Nord
Roma - Il titolo è inequivocabile: Il Piccolo Ateo. Il sottotitolo pure: «Anti Catechismo per giovani che non si vogliono fare fregare».
Lo ha messo nero su bianco Calogero Lillo Martorana, napoletano, professore nelle scuole superiori e «ateo razionalista». A dispetto di quel «giovani» che appare sulla copertina si tratta di un testo pensato e scritto per i bambini e i ragazzi delle medie.
Per iniziarli all’ateismo sin dalla più tenera età, mettendo in ridicolo il cattolicesimo. «Lo abbiamo ricevuto da nostri associati e circola in varie scuole del Nord Italia», segnala Barbara Sciarra, capo ufficio stampa del GRIS, il Gruppo cattolico di ricerca e informazione socio-religiosa.
In 52 pagine a caratteri molto grandi il docente ateo cerca di convertire gli alunni lanciando accuse grossolane. «Per “credere” non c’è bisogno né di avere un’istruzione né di avere una testa che pensa; anzi, per credere, l’intelligenza, la saggezza, la razionalità e l’istruzione (quindi la scuola) sono tutte cose dannosissime», scrive Martorana cercando di far passare per ebeti miliardi di credenti.
Come «ottima prova» della non esistenza di Dio, l’autore propone, in venti righe, l’esistenza della sofferenza, mentre poco dopo spiega che è «la paura della morte a farci illudere che c'è Dio».
«La fede - scrive ancora - è proprio una benda sugli occhi, non c’è altro modo per definirla! E non c’è proprio niente di eroico in essa, perché chi si illude così significa che non vuole ragionare, significa che non vuole capire». Qualche altra chicca tratta dal volumetto: «Ci vuole qualcuno per mettere le anime dentro tutti i neonati: e da dove le prendono? C’è una fabbrica? E secondo quali criteri le distribuiscono? E se a qualcuno capita l'anima di un altro?».
Monologhi buoni per un canovaccio da cabaret, se letti da un adulto, che possono però essere subdolamente efficaci su un bambino.Parlando dell’eucaristia, l’autore osserva: «Nella fantasia credulona dei cristiani, “comunione” significa entrare in contatto con Dio; attraverso l’ingoio dell’ostia, i cristiani credono che Dio entri in noi e in tal modo noi diventiamo “vaccinati” contro le tentazioni e sciocchezze simili... La prima comunione, come altre cose simili, serve solo al Vaticano per non perdere i fedeli per strada».
In un altro capitolo, dal titolo inequivoco «Dio ci rende schiavi», il professore ateo scrive: «I cattolici cominciano molto presto le proprie violenze alla tua libertà, col battesimo, iscrivendoti per forza nei loro registri; e poi proseguono minacciando l’Inferno se non fai quello che vogliono loro, ricattandoti col “peccato” che ti costringe ad aver paura di tutto (specialmente del sesso), chiamando “buoni” i cristiani e “cattivi” gli altri, cercando in tutti i modi di renderti servo sciocco di un invisibile dio e di un papa arrogante e autoritario».
Su molte grandi questioni, come il bene e il male, il docente catechizza così i suoi piccoli aspiranti: «Non c’è il male sicuro e non c’è il bene sicuro, tutto dipende da noi, da come noi pensiamo le cose, dall’epoca in cui nasciamo, dalla zona del mondo in cui viviamo, eccetera». Mentre questi sono i consigli sul sesso: «Coi genitori, coi preti e con gli adulti in genere, non potrai mai parlare di sesso!... I genitori che sembrano più “moderni” arrivano a dire che il sesso va fatto solo quando c’è l'amore; ma questo non significa proprio niente, il sesso e l’amore sono due cose distinte, meglio se stanno insieme, ma non è obbligatorio».
Il manualetto si conclude con una carrellata di paragrafetti che contengono una livorosa sintesi di duemila anni di storia e presentano i cristiani sempre come i «cattivi», adossando alla Chiesa cattolica (sic!) persino il genocidio del Ruanda.
Si disprezza la tradizione cristiana
«Si aggredisce brutalmente la tradizione cristiana, disprezzandola per il puro gusto di disprezzarla». È preoccupato il vescovo di San Marino e Montefeltro, monsignor Luigi Negri, dopo aver scorso il manualetto del piccolo ateo che si cerca di diffondere nelle scuole.
La prima reazione?
«Siamo di fronte a un anti cristianesimo becero e alla non volontà di dialogare e di discutere anche mettendo in campo ipotesi alternative a quella cattolica ma suffragate con una consistenza culturale. Mi è sembrata la traduzione stupida e grossolana dell’Enciclopedia degli Illuministi: ha la stessa presunzione, ma con due secoli di usura e un livello infinitamente più basso. Ricordo che Voltaire usava per la sua corrispondenza della carta con stampato in cima al foglio “Distruggete l’infame”. E si riferiva alla Chiesa».
L’autore vuole «convertire» all’ateismo le giovani generazioni...
«Lo stile è quello di chi si rivolge ai bambini, è lavolontà di distruggere la fede inun momento in cui c’è attesa e accoglienza. Proprio in un momento in cui sono cadute le ideologie e viviamo una situazione di debolezza nelle motivazioni e di domanda fortissima da parte dei giovani di esperienze vere e grandi, quella persona non ha saputo fare altro che proporre un surrogato trash di scientismo fai-da-te».
Il Gris sostiene che questa pubblicazione si sta diffondendo nelle scuole del Nord. Perché, secondo lei, questo avviene?
«Queste bassezze si diffondono perché non abbiamo ancora trovato il modo di ridar forza a una tradizione popolare che ha formato la nostra gente e che oggi ci si può permettere di trattare come meno di niente. Il manuale del piccolo ateo è la prova di un disastro antropologico. Oggi trattano così il cattolicesimo, domani potrebbero farlo con qualsiasi altra tradizione religiosa».
il Giornale
Scuola On. Isabella Bertolini: Inaccettabile in aula il manuale ‘il piccolo ateo’ contro il cattolicesimo
È inaccettabile che in alcune scuole italiane sia permesso distribuire e far circolare documenti che discreditano il cattolicesimo e mettono in ridicolo i credenti. L'articolo de Il Giornale denuncia un fatto gravissimo.
Lo affermano i Deputati di Forza Italia fondatori e membri dell'associazione "Valori e Liberta'": Isabella Bertolini, Patrizia Paoletti Tangheroni, Gabriella Carlucci, Simonetta Licastro Scardino, Giuseppe Cossiga.
Abbiamo intenzione – sottolineano i Parlamentari di Forza Italia - di presentare immediatamente un'interrogazione parlamentare indirizzata al ministro Fioroni per indurlo a verificare ed eventualmente bloccare la diffusione di un libercolo gravemente offensivo per il sentimento religioso di migliaia di famiglie italiane.
Ci chiediamo cosa succederebbe se un simile affronto venisse diretto contro l'Islam e i fedeli musulmani. Altro che vignette su Maometto.
Come minimo l'istituto scolastico sarebbe messo a ferro e fuoco e l'autore del documento condannato a morte. Ovviamente non chiediamo reazioni di questo tipo.
Di certo chiederemo al governo che negli istituti scolastici italiani si rispetti il sentimento religioso di centinaia di migliaia di genitori che hanno tutto il diritto di chiedere che i propri ragazzi non vengano traviati e condizionati da testi offensivi e denigratori.

L'Ucoii chiede elezioni in moschea

Musulmani alle urne!
Non hanno fondato un loro partito, anzi hanno un problema di leadership. E Hamza Piccardo, ex portavoce dell'Unione delle comunità islamiche in Italia, prova a uscire dall'impasse con una lettera aperta a Giuliano Amato a cui propone una soluzione «per definire la rappresentanza dei musulmani».
Individua lo strumento in una «consultazione di massa» che permetta di individuare coloro che possano «seriamente e compiutamente» rappresentare la «umma dei credenti».
Ma lo comunica al ministro dell'Interno, firmandosi come «direttore di islamonline.it», il suo sito web personale.
All'attuale portavoce dell'Ucoii, Izzedine El Zir, l'idea non dispiace: «È una scelta democratica e come tale non può che vederci d'accordo», dichiara a Libero, escludendo che si tratti di una presa di posizione polemica da parte di Piccardo nei confronti dei vertici del gruppo.
Certo, così come sono ridotte, le moschee italiane non possono aspirare a un'intesa con lo Stato. Divise al loro interno, come dimostrano le passate vicende del Consiglio islamico d'Italia, hanno ormai abbandonato ogni progetto di riconoscimento da parte delle istituzioni. Rimane la Consulta per l'islam, istituita dal predecessore di Amato, Beppe Pisanu, durante il governo Berlusconi.
Ma Piccardo scrive che sarebbe da «ringraziare e mandare a casa». Per Yahya Pallavicini, rappresentante della Coreis nell'organismo che si riunisce al Viminale, invece, ha dimostrato l'esistenza di voci diverse dal fondamentalismo di marca Ucoii. E boccia la proposta di Piccardo giudicandola «coerente con la sua impostazione politica dell'islam. Ma è incoerente secondo la prospettiva di chi vuole cercare un rapporto tra le confessioni religiose e lo Stato, come prevede la costituzione italiana».
Se nel frattempo l'intesa segna il passo, Pallavicini propone di «iniziare ad avviare trattative con chi ha mostrato responsabilità, lasciando fuori chi vuole strumentalizzare le masse».
Ma, sull'opportunità di scegliere un sultano con cui mettersi al tavolo, non sono d'accordo nemmeno i politici.
Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia, contesta la rappresentatività a «chi non riconosce ad Israele il diritto di esistere, chi ritiene legittimo in guerra mozzare le teste ai propri nemici, chi giustifica il martirio dei kamikaze».
E Alfredo Mantovano, di An - peraltro citato da Piccardo nella lettera ad Amato - ricorda che la «gran parte dei musulmani presenti in Italia non aderisce ad alcuna associazione», ciò che fa apparire ingiustificata la richiesta dell'Ucoii a firmare l'intesa a nome di tutti.

Andrea Morigi - Libero

sabato 15 settembre 2007

Parma espugnata dagli islamici

L’altra mattina mi son svegliato e sulla Gazzetta di Parma ho trovato la notizia dell'invasione: una monumentale Mezzaluna sarà issata nella nuova grande rotatoria in allestimento alle porte della città. Non è possibile, mi sono detto, forse sto ancora dormendo, forse è soltanto un sogno o per meglio dire un incubo. Mi stropiccio ben bene e provo a rileggere, chissà che prima non mi sia confuso. No, purtroppo non mi sono sbagliato. In prima pagina il titolo è: «Ecco la Fontana delle Religioni». Sottotitolo: «Nell'opera di Cascella la Croce, la Stella di David e la Mezzaluna».
Il lungo testo, che prosegue all'interno, è un grande spot a favore della scultura, dello scultore e dell'ideologia relativista, al limite dell'islamofilia, che lo anima. Strano.Credevo che la Gazzetta fosse quotidiano confindustriale e borghesissimo, segnato dalla lunga direzione di Baldassarre Molossi, montanelliano dei tempi d'oro. Anche il figlio Giuliano, succeduto al padre nella direzione del giornale, non mi è mai nemmeno lontanamente sembrato amico di imam e muezzin. Anzi, se non ricordo male, a una cena dell'Unione Industriali si spazzolò un bel piatto di salumi.
E allora che cosa è successo? Non è che nottetempo i miliziani di Hamas, dopo essersi impadroniti mitra in pugno di Gaza, si sono infiltrati anche nei gangli del potere parmense? Telefono in comune, timoroso che mi si possa rispondere in arabo. E invece risponde come sempre il portavoce del sindaco Pietro Vignali, lesto ad attribuire l'idea della Mezzaluna all'ex sindaco, Elvio Ubaldi. Ancora più strano: ricordo di aver mangiato a casa Ubaldi uno dei culatelli migliori della mia vita e in quell'occasione l'esponente politico non mi sembrò per niente propenso a rispettare la norma coranica che proibisce severamente il consumo di carne di maiale.
Nota bene: né Vignali né Ubaldi appartengono alla sinistra estrema che tanto si impegna nel tenere aperte le porte all'immigrazione islamica. Di estrazione democristiana, fanno entrambi parte di una lista civica considerata di centrodestra da quasi tutti gli osservatori. Da quasi tutti ma non da me: non basta non essere di sinistra per essere di destra.
Il caso penoso della Fontana delle Religioni dimostra che il civismo (il fenomeno delle liste civiche) tende a degradare nel nichilismo amministrativo, senza politica e senz'anima, ancor più del vecchio partitismo. E guai se queste liste sono democristianoidi: così come la vecchia Dc ha più o meno inconsapevolmente favorito la secolarizzazione dell'Italia, certi post-Dc, da Rosy Bindi ai succitati parmigiani, sembrano voler completare l'opera di affossamento della religione cattolica, forse ignari che la natura non tollera vuoti e che relativizzando Cristo si apre la strada a Maometto.
Ma la chiesa di Parma che fa? Niente, assolutamente niente. La chiesa locale è una chiesa del silenzio, però non come le chiese dei paesi comunisti, obbligate a tacere dalla persecuzione. Qui nessuno minaccia di incarcerare il vescovo o di fucilare i parroci, eppure tutti tengono la bocca chiusa, paghi di praticare quella forma di fede invisibile tanto cara ai dossettiani e quindi a Romano Prodi. E così le chiese di Parma sono mezze vuote e per la verità anche mezze spente, siccome nessun fedele si sogna di accendere le squallide candele elettriche che negli ultimi anni hanno sostituito un po' ovunque, dal santuario della Madonna della Steccata fino a San Giovanni Evangelista, le mistiche candele di cera. Rimane qualche candela vera nella chiesa di San Sepolcro ed è lì che, davanti alla Madonna, ho spesso pregato per la sostituzione del vescovo, malato da tempo e inadeguato da sempre. Monsignor Bonicelli è un problema ben noto in Vaticano ma mentre a Roma discutono sul da farsi, Parma è stata espugnata. Perché l'incredibile Fontana delle Religioni è una bandiera bianca in marmo di Carrara.
In zona i musulmani non sono nemmeno tanti, eppure d'ora in poi si sentiranno invincibili: senza nemmeno chiedere hanno ottenuto l'abbassamento della Croce e l'innalzamento della Mezzaluna, figuriamoci quando aumenteranno di numero e di pretese. «Se tu fiderai negli italiani sempre avrai delusione» scrisse Guicciardini ma davvero non pensavo che l'apostasìa dovesse manifestarsi proprio a Parma, la capitale del prosciutto, una specialità che la sharia (la legge coranica che viene imposta quando i musulmani vanno al potere) proibirebbe inesorabilmente. Ma le vie del masochismo sono infinite.
Camillo Langone - il Giornale

martedì 11 settembre 2007

11 Settembre, On. Isabella Bertolini: Commemoriamo il coraggio ed i valori di libertà contro la viltà e il tradimento

Sei anni dopo l’orrore delle Torri Gemelle, che hanno confermato il disegno dell’islamismo terrorista di mettere in ginocchio l’Occidente e la sua civiltà, siamo ancora costretti a combattere, anche in Italia, non solo contro i seminatori di odio anti-americano ed anti-occidentale, ma anche contro quel superficialismo dilagante che ha confinato l’attacco al World Trade Center, tanto devastante da aver cambiato il mondo e da continuare ad incidere pesantemente nella storia a venire, fra i ricordi ormai remoti.
È vergognosa la speculazione sull’11 settembre, in chiave antiamericana ed antioccidentale e di propaganda filoterrorista, ad opera dei soliti noti radical-sinistri, che subiscono senza fiatare i ricatti e le brutalità dell’islamismo fondamentalista, mentre gettano la croce sugli USA e sulle legittime azioni belliche contro i finanziatori ed i sostenitori della guerra del terrore lanciata contro l’Occidente.
Di fronte all’immane pericolo del terrorismo mondiale e della possibile strisciante sottomissione della nostra civiltà ai diktat della violenza, è indispensabile che l’11 settembre di ogni anno si ripercorra con forza il ricordo di quanto è accaduto, del perché è accaduto e da chi è stato perpetrato.
Non si può dimenticare che il terrorismo islamico da anni continua a mietere migliaia di vittime innocenti nei Paesi dove questa funesta ideologia totalitaria cerca di assumere il potere.
Ed è altrettanto urgente che, attraverso i ricordi e le commemorazioni, vengano smentite con coraggio le falsità diffuse dai nemici della nostra civiltà, da quei cattivi maestri che, al riparo delle libertà che l’Occidente gli garantisce, non esitano a predicare l’odio nei confronti della nostra società.
tratto dal sito www.isabellabertolini.it

mercoledì 5 settembre 2007

Nei Paesi islamici non c’è spazio per altre religioni

Le notizie che arrivano dall’Algeria confermano che, quando si parla del rapporto fra libertà religiosa e islam, una cosa è la teoria e l’altra è la pratica.
La legge dell’islam, la sharia, permette ai «popoli del Libro», i cristiani e gli ebrei, la pratica privata del culto ma non il proselitismo. Le genti «del Libro» sono nella condizione precaria di dhimmi, «protetti». Quanto ai seguaci di religioni non «del Libro», non godono neppure della libertà di culto.
Proprio perché si ritiene che il marito influisca sulla fede della mogli, la sharia autorizza un musulmano a prendere una moglie «del Libro», mentre un uomo cristiano o ebreo non può sposare una donna musulmana.
Secondo la scuola giuridica più rigida - che è al potere in Arabia Saudita - c’è poi un’eccezione per la penisola arabica, terra considerata tutta sacra dove i cristiani (pure oggi numerosi fra gli immigrati) non possono neppure praticare il loro culto (e anche una semplice preghiera, se colta da un musulmano, rischia di avere conseguenze molto gravi).
Prescindendo da quei teologi progressisti che ritengono superati questi divieti - e che trovano spazio in Occidente sui giornali e nei congressi, ma ne hanno assai meno nei Paesi islamici - un normale manuale di diritto islamico ci dirà che - a seconda delle scuole giuridiche, delle leggi e della prassi consolidata - ci sono quattro tipi di situazione.
Nella peggiore - quella dell’Arabia Saudita o dell’Afghanistan dei talebani (le cui norme continuano a essere applicate nelle zone tribali afghane e pakistane che controllano) - i popoli «del Libro», dunque i cristiani, non possono neppure celebrare la Messa o pregare. Nei regimi religiosi che detengono il potere nella grande maggioranza dei Paesi musulmani i cristiani possono celebrare Messa nelle loro chiese e pregare in casa propria, ma le leggi vietano il proselitismo e puniscono con la morte l’apostasia del musulmano che si converte ad altra fede. Anche dove - su pressioni occidentali - le leggi più aspre sono state attenuate - e in teoria l’apostata non rischia più la pena di morte - altre norme rischiano di avere le stesse conseguenze. Per esempio, l’omicidio dell’apostata da parte della famiglia musulmana di origine è considerato un «delitto d’onore» e punito con pene molto lievi.
C’è poi un terzo gruppo di Paesi dove si sono affermati governi laici (non tutti democratici) - la Turchia, la Tunisia, l’Algeria - e le leggi garantiscono la libertà religiosa.
Questa, però, è la teoria. In pratica anche i regimi laici non garantiscono affatto la sicurezza alle minoranze cristiane e tanto meno ai musulmani che si convertono. Anzitutto, tanto più fuori delle grandi città, polizia e tribunali spesso ignorano le leggi e continuano a vessare i cristiani e a punire i convertiti. Un qualche pretesto si trova sempre.
Anzi, una lunga esperienza di viaggi in Paesi islamici mi conferma che quello che è accaduto in Algeria è comune. Spesso sono agenti provocatori della polizia a mostrarsi interessati al cristianesimo per poi arrestare i cristiani accusandoli di proselitismo.
In secondo luogo, le minoranze cristiane sono piccole e poco influenti. Quando i regimi laici si sentono minacciati dalla marea montante del fondamentalismo, una delle prime concessioni che fanno agli estremisti per cercare di evitare il peggio è proprio prendersela con le minoranze.
Con poche eccezioni, anche la libertà religiosa proclamata dai regimi laici in terra islamica è sempre una libertà vigilata.
il Giornale

In Algeria dure misure restrittive contro chi fa proselitismo religioso non musulmano

Sarà anche questione di guerra di religione ma la cosa ha del diabolico. Di solito funziona così. Sei lì seduto su una panchina del parco che ti fai un po’ i fatti tuoi quando ti si avvicina un tipo, per niente sospetto, anzi persino simpatico, disponibile, alla mano. Che chiacchierando così del più e del meno a un certo punto la butta lì sul religioso, ti chiede la tua sul cristianesimo, sulla parola di Dio, sul catechismo. Robe normali, come si fa all’oratorio.
Poi all’improvviso con la pupilla che brilla come la lama di un coltello stringe lo sguardo e con un sorriso strano ti dice: «Sì, certo, è vero, non che non sia d’accordo su quello che dici ma ce l’avresti mica un Vangelo sotto mano, che ci diamo un occhio?...» E come no, amico mio, eccolo qua... «È così che ti fregano - racconta adesso rigorosamente coperto dall’anonimato un algerino convertito al cristianesimo al quotidiano al-Khabar -. È stato un agente della polizia in borghese a fermare per strada uno dei miei fratelli di fede, gli ha chiesto una copia del Vangelo e quando il mio amico lo ha tirato fuori dal tasca per darglielo sono scattate le manette. Sono un poliziotto, gli ha detto, e ti ho beccato in flagranza di reato». L’amico in questione è uno dei cinque cristiani algerini sotto processo a Tizi Ouzou, in Cabilia con l’accusa di aver fatto propaganda al cristianesimo e di aver convinto amici e conoscenti ad abbracciare la fede cristiana. Per questo serviva una lezione. Perchè le autorità di Algeri hanno appena deciso di applicare dure misure restrittive contro chi predica fedi diverse da quella musulmana. E quei cinque si sono fatti trovare al posto giusto nel momento sbagliato.
Loro si difendono come possono, dicono di aver scelto il cristianesimo rispettando la libertà di opinione prevista dalla Costituzione algerina, spiegano che l’accusa di proselitismo altro non è che una trappola fabbricata ad arte dalla polizia. Ma non basterà a salvarli dalla condanna. Non è la prima volta che la polizia applica alla lettera la legge «per il rispetto del sentimento religioso». La scorsa estate, sempre a Tizi Ouzou, sono stati fermati alcuni francesi di un gruppo evangelico solo perchè uno dei predicatori aveva affittato una villa in Cabilia per tenere le sue prediche.
E tanto è bastato per mettere in agitazione il Paese. Anzi, è proprio per arginare le crescenti attività di proselitismo di tutte le fedi e per richiamare la popolazione alla fedeltà all’Islam, che il ministero per gli Affari religiosi, che consente la libera professione solo alle organizzazioni riconosciute dalle autorità, ha spedito a Tizi Ouzou i più noti imam telepredicatori arabi, come lo sceicco Yusuf Qaradawi di al-Jazeera, certi almeno di fare audience.
Al-Khabar, lo stesso giornale che ieri l’altro aveva denunciato le violenze sessuali subite dai bambini che frequentano le scuole coraniche da parte di imam pedofili, racconta che sono soprattutto i cristiani a subire le restrizioni più dure in Algeria. Perchè sulle panchine del parco accanto a te a volte può sorriderti qualcosa di diabolico.
Il giornale

Il governo decide dure misure restrittive contro chi fa proselitismo religioso non musulmano. E i primi a farne le spese sono cinque convertiti. Grazi

Sarà anche questione di guerra di religione ma la cosa ha del diabolico. Di solito funziona così. Sei lì seduto su una panchina del parco che ti fai un po’ i fatti tuoi quando ti si avvicina un tipo, per niente sospetto, anzi persino simpatico, disponibile, alla mano. Che chiacchierando così del più e del meno a un certo punto la butta lì sul religioso, ti chiede la tua sul cristianesimo, sulla parola di Dio, sul catechismo. Robe normali, come si fa all’oratorio.
Poi all’improvviso con la pupilla che brilla come la lama di un coltello stringe lo sguardo e con un sorriso strano ti dice: «Sì, certo, è vero, non che non sia d’accordo su quello che dici ma ce l’avresti mica un Vangelo sotto mano, che ci diamo un occhio?...» E come no, amico mio, eccolo qua... «È così che ti fregano - racconta adesso rigorosamente coperto dall’anonimato un algerino convertito al cristianesimo al quotidiano al-Khabar -. È stato un agente della polizia in borghese a fermare per strada uno dei miei fratelli di fede, gli ha chiesto una copia del Vangelo e quando il mio amico lo ha tirato fuori dal tasca per darglielo sono scattate le manette. Sono un poliziotto, gli ha detto, e ti ho beccato in flagranza di reato».
L’amico in questione è uno dei cinque cristiani algerini sotto processo a Tizi Ouzou, in Cabilia con l’accusa di aver fatto propaganda al cristianesimo e di aver convinto amici e conoscenti ad abbracciare la fede cristiana. Per questo serviva una lezione. Perchè le autorità di Algeri hanno appena deciso di applicare dure misure restrittive contro chi predica fedi diverse da quella musulmana. E quei cinque si sono fatti trovare al posto giusto nel momento sbagliato.
Loro si difendono come possono, dicono di aver scelto il cristianesimo rispettando la libertà di opinione prevista dalla Costituzione algerina, spiegano che l’accusa di proselitismo altro non è che una trappola fabbricata ad arte dalla polizia. Ma non basterà a salvarli dalla condanna. Non è la prima volta che la polizia applica alla lettera la legge «per il rispetto del sentimento religioso». La scorsa estate, sempre a Tizi Ouzou, sono stati fermati alcuni francesi di un gruppo evangelico solo perchè uno dei predicatori aveva affittato una villa in Cabilia per tenere le sue prediche. E tanto è bastato per mettere in agitazione il Paese. Anzi, è proprio per arginare le crescenti attività di proselitismo di tutte le fedi e per richiamare la popolazione alla fedeltà all’Islam, che il ministero per gli Affari religiosi, che consente la libera professione solo alle organizzazioni riconosciute dalle autorità, ha spedito a Tizi Ouzou i più noti imam telepredicatori arabi, come lo sceicco Yusuf Qaradawi di al-Jazeera, certi almeno di fare audience.
Al-Khabar, lo stesso giornale che ieri l’altro aveva denunciato le violenze sessuali subite dai bambini che frequentano le scuole coraniche da parte di imam pedofili, racconta che sono soprattutto i cristiani a subire le restrizioni più dure in Algeria. Perchè sulle panchine del parco accanto a te a volte può sorriderti qualcosa di diabolico.

venerdì 31 agosto 2007

La Turchia e l'idiozia della vecchia Europa

L’elezione di Abdullah Gul a presidente della Turchia pone il sigillo alla sconfitta piena e totale del kemalismo con conseguenze straordinarie non solo per il quadropolitico mediterraneo, ma anche per la riflessione dottrinale sull’Islam nella modernità. Per imporre il laicismo, per “esportare la democrazie europea”, fortemente influenzato dal pensiero massone e mazziniano (i Giovani Turchi copiarono il nome dalla Giovane Italia).
Kemal Atatürk abolì il califfato e il sultanato, sciolse tutte le confraternite religiose e ne confiscò gli immensi beni, abolì la shari’a e la sostituì col codice penale Rocco e quello amministrativo di Neuchâtel e abolì anche l’alfabeto arabo (scritto da destra a sinistra) e impose quello latino, con una cesura drammatica che impedì ai turchi la lettura dei testi nella vecchia scrittura (di fatto, la censura totale sulla cultura islamica). Atatürk pose infine l’esercito nazionale a guardia della laicità, sovraordinandone il potere a tutte le istituzioni (nove anni fa una parlamentare fu privata del mandato per la sola colpa di indossare il hijab in aula).
Una riforma che ha riscosso per 80 anni universale approvazione, tanto che da sempre molti studiosi (Bernardi lewis tra questi) la indicano come l’unica in grado di coniugare –con la sua violenza riformatrice- Islam e modernità . Passati 83 anni, il kemalismo, oggi è morto.
Per via democratica la “vecchia talpa musulmana” ha sbriciolato tutti i vincoli che tenevano l’Islam ai margini del potere e l’Akp, un partito moderno e moderato, ma integralmente musulmano, è stato scelto dal popolo turco quale detentore di tutto il potere politico: governo e presidenza della repubblica. Il fallimento del modello di stato laico kemalista, pur legittimato dalla straordinaria vittoria militare di Atatürk contro l’invasione greco-inglese del 1920-22 (a cui partecipò pure l’Italia), costituisce oggi la prova provata che nessun modello, nessuna dottrina politica di marca laico-occidentale riesce comunque a imporsi nelle società islamiche.
Momento di riflessione capitale non solo per l’Iraq, ma anche per l’Iran, là dove l’esperienza turca indica che solo una proposta politica democratica in ambito musulmano potrà riuscire a accumulare sufficiente consenso popolare per rovesciare la dittatura.
Ma il fallimento del kemalismo, suona soprattutto da monito, inascoltato, alla misera cultura politica dell’Europa.
E’ stata infatti l’Ue a fare a Erdogan l’immenso favore di “imporgli” la eliminazione del potere sovraordinato al governo dei militari, fedeli e democratici custodi della laicità.
E’stata l’Ue a pretendere l’idiota applicazione meccanica dei “criteri di Copenhagen” (pensati per guidare alla democrazia i paesi ex comunisti, non certo quelli musulmani) che hanno permesso al antilaicista Erdogan di impadronirsi, grazie al voto del 46,5% degli elettori, di tutto, assolutamente tutto il potere. Ora, l’esercito turco, l’unico al mondo a aver fatto tre golpe pienamente democratici, non ha più potere politico e non può più fare da guardia al laicismo. L’Ue, può solo portare i ceri alla madonna: l’Akp di Erdogan e Gul –anche grazie al golpe militare del 1997- è un partito pienamente democratico. Ma le prossime elezioni potrebbero essere vinte dai Fratelli Musulmani, o dai fondamentalisti. Come in Algeria. E si sa come è finita.
Carlo Panella

giovedì 30 agosto 2007

Olanda, chi critica l'Islam rischia la decapitazione

Geert Wilders, l’uomo politico più discusso in Olanda, ci riceve in Parlamento, nel suo studio, fuori dal quale ci sono ben quattro guardie del corpo. È affabile, deciso, ma per niente arrogante, come generalmente viene descritto dai media del suo Paese. Ha seguito le orme del regista Theo van Gogh, ucciso dai fondamentalisti islamici, ha lo stesso coraggio e gli stessi ideali per cui hanno ammazzato Pim Fortuyn. È sotto scorta da mattina a sera.
Signor Wilders, 177 nazionalità presenti in una sola città come Amsterdam non preoccupano?
«Certo, mi batto da anni perché il mio Paese possa tornare alla normalità».
Il suo partito si chiama Partito della Libertà. Libertà di.....
«Libertà di fare con i propri soldi quello che si vuole. Gli olandesi pagano troppe tasse, addirittura il 50%. Mentre si dovrebbe avere il diritto di disporre del proprio denaro, guadagnato con tanta fatica. E poi libertà di gioire di una bella giornata di sole e della vita, di girare per strada senza essere assaliti, derubati, picchiati. Soprattutto libertà di vivere nella propria nazione conservandone la cultura. Infine libertà di esprimere le proprie idee senza per questo essere costretti a girare sotto scorta perché vogliono metterti a tacere per sempre.La stampa olandese parla ampiamente della decisione del vostro governo di stanziare 28 milioni di euro per far fronte al problema del radicalismo islamico e degli estremisti di destra.
Questa somma dovrebbe servire a costituire centri di sostegno per i comuni più colpiti da questa piaga e per instaurare con integralisti e ultrà un proficuo “dialogo interculturale”. Che ne pensa?
«Un pessimo piano (del partito socialista, al governo con i cristiano-democratici del premier Pit Balkenende, ndr). Con loro il dialogo non serve più. Ci abbiamo provato per anni e non abbiamo ottenuto nulla. Anzi, la situazione è peggiorata. Con questo costoso progetto, assolutamente privo di concretezza, trattiamo i colpevoli come vittime. Basta con le parole, con la tolleranza. Si passi ai fatti».
In che modo?
«Prima di tutto se non rispettano le nostre norme, le nostre regole e la nostra cultura devono tornare da dove sono venuti. Se commettono crimini, vanno puniti severamente. Se dopo essere usciti di prigione ricominciamo a delinquere devono essere espulsi. Dobbiamo chiudere le frontiere, riappropriarci della nostra terra e usare invece questi fondi per i nostri vecchi, la sanità, per accudire gli handicappati». La sua dichiarazione sul fatto che il Corano andrebbe proibito come il Mein Kampf di Hitler ha suscitato molte polemiche, accuse contro di lei, anche da parte degli altri partiti al governo.
Non ha forse esagerato con questa che è parsa una provocazione inaccettabile nei confronti di una religione?
«Il Corano è un libro fascista, aggressivo, che semina odio. Non voglio discriminare o provocare, dico solo che la violenza che trasuda dai testi islamici non la si trova in nessun’altra religione: né cattolica, né ebraica, né buddhista. Diciamo piuttosto che il Corano è più un’ideologia che una religione. Non ce l’ho con l’islam, con i musulmani come persone, ma appunto con un’ideologia che vuole privare l’uomo della libertà, che non rispetta le donne, che vuole eliminare gli omosessuali. Il mio idolo è Oriana Fallaci: lei aveva capito la pericolosità dell’invasione islamica! Come lei odio il relativismo, cioè il voler credere che ogni cultura sia la stessa, perché non è vero.
Olanda, chi critica l'Islam rischia la decapitazione

Amsterdam dovrebbe essere inserita nel Guinness dei primati per il numero di nazionalità presenti nel suo territorio: 177. Il più alto nel mondo. Ha battuto persino New York, con le sue 150. Senza contare che 123mila dei suoi abitanti hanno la doppia cittadinanza. Questi dati stanno preoccupando sempre più gli olandesi che sino a ora sono stati molto tolleranti e generosi nei confronti degli immigrati, aprendo loro le porte e offrendo loro un tetto. Case pulite, dotate di tutto il necessario per una vita dignitosa: sussidi da far invidia a un lavoratore di qualsiasi Paese. D’altra parte le cifre parlano chiaro: attualmente ad Amsterdam ci sono 64.588 marocchini e 37.421 turchi. Tanto per fare un paragone, gli italiani sono 1.654 e i tedeschi 6.670.
Il primo a ribellarsi a questa «vera e propria invasione » fu il regista Theo van Gogh. Cercò in tutti i modi di attirare l’attenzione dei media sul pericolo della culturanon cultura islamica e dei suoi terroristi. Del suo film Submission si è parlato in tutto il mondo. Soprattutto perché segnò la sua condanna a morte. «Ci elimineranno tutti », ripeteva spesso. E tre anni fa l’hanno ammazzato come un cane, per strada, lasciando un biglietto sul suo corpo, conficcato nella schiena con un coltello. Anche la sceneggiatrice di Submission è diventata «famosa». Parliamo della bella somala Ayaan Hirsi Ali, considerata un’eroina per la lotta che conduce a favore dei diritti delle donne islamiche, deputata del Partito popolare per la libertà e democrazia (Vvd). Ayaan Hirsi ha definito il profeta Maometto «un perverso tiranno ». Per cui pure lei si trova da tempo nella lista nera dei condannati a morte per blasfemia. «Non ho paura di morire - dice -, vengo da un Paese dove ogni giorno ci si confronta con le malattie, la fame, il degrado, la morte. Ci sono abituata. Pertanto continuerò la mia lotta».
C’è un’altra donna del Vvd che da anni si batte per la chiusura delle frontiere, Rita Verdonk, 52 anni, cattolica, che è stata dal 2003 al 2006 ministro dell’Immigrazione. È stata definita la «donna di ferro» proprio per la sua intransigenza nei confronti degli immigrati. Nel 2005 ha fatto approvare una legge molto importante sull’integrazione degli stranieri, grazie alla quale sono stati istituiti corsi obbligatori di conoscenza della lingua olandese e dell’organizzazione sociale per coloro che vogliono ottenere un regolare permesso di soggiorno. Nel suo partito ha militato Geert Wilders, di recente salito alla ribalta delle cronache per aver paragonato il Corano al Mein Kampf di Adolf Hitler, chiedendo al Parlamento che venga proibito «in quanto si tratta di un libro dannoso che istiga alla violenza».
Wilders non usa mezzi termini: «Chiudiamo le moschee radicali, mandiamo a casa gli imam e fermiamo l’immigrazione dei Paesi non occidentali, prima che sia troppo tardi. È incredibile quello che sta succedendo in Olanda. Eppure la tv ha mandato in onda una ripresa girata in segreto nella moschea diAmsterdam “al Taweed”, mentre l’imam diceva che gli amici della democrazia erano figli di satana, le donne dovevano essere bastonate e gli omosessuali buttati giù dai tetti. E noi dobbiamo tenerci in casa questi fanatici? Fuori tutti i gruppi estremisti islamici dal nostro Paese».
In quanto a minacce... pure lui ne ha accumulate una serie infinita: alcuni siti internet radicali hanno lanciato una vera e propria campagna pubblicitaria a favore della sua eliminazione. Si passa dall’elargizione di un premio di ben 92 vergini alla promessa del paradiso eterno e dell’eterna riconoscenza di Allah nei confronti di «qualsiasi islamico disposto a decapitarlo ». Secondo alcuni Wilders ha ereditato il pensiero di Pim Fortuyn, leader del partito Leefbaar Nederland. L’aggettivo olandese leefbaar, «vivibile », è già di per sé molto significativo. Fortuyn, che voleva un’Olanda vivibile, fu ucciso il 6 maggio 2002, all’uscita degli studi televisivi dove aveva registrato un programma contro il proliferare del radicalismo islamico. Nella lista dei condannati a morte è entrato da poco anche Ehsan Jami, un ragazzo iraniano di 28 anni che ha fondato un comitato di ex musulmani.
«Il Corano non è credibile. È anacronistico. Se vieni dal mondo islamico non vuol dire che devi per forza essere musulmano», ha detto Jami durante un recente dibattito tv. «Essere musulmano non è un fattore genetico. Con la creazione di questo comitato voglio dire ai giovani che, come me, amano la libertà, di uscire allo scoperto e di ribellarsi a una religione imposta, incivile, inumana».Un discorso coraggioso. E pericoloso. Il giorno dopo, infatti, è stato assalito da tre africani all’uscita di un supermercato e picchiato a sangue.
il Giornale

mercoledì 29 agosto 2007

Carlos. Il professionista del terrore

Nel libro «Anni di terrore» Magdalena Kopp, compagna del famigerato Carlos, conferma il ruolo dei regimi comunisti nel sostenere il terrorismo internazionale «Spesso dopo un’azione terroristica, lui si rifugiava a Berlino Est. Al di là del Muro era al sicuro e lì lo aspettavo. La Stasi ci proteggeva, potevamo muoverci liberamente, senza rischi».
Lui è Illich Ramírez Sánchez, alias Carlos lo sciacallo, negli anni Settanta e Ottanta il terrorista più ricercato del mondo, l’autore di stragi paurose e di imprese da brivido come il sequestro nel 1975 dei ministri del Petrolio riuniti a Vienna per la conferenza dell’Opec. E la persona che lo aspettava al di là del Muro è Magdalena Kopp, la donna che ha vissuto con Carlos per tredici anni e che ora racconta la sua vita con lo sciacallo in un libro, «Anni di terrore», la cui uscita imminente è preceduta da una lunga intervista concessa al quotidiano Bild Zeitung.
Tedesca, un tempo militante nei movimenti dell’estrema sinistra di Francoforte, la Kopp è oggi una donna sulla sessantina che ha ripudiato il suo passato di terrorista dopo aver scontato una lunga pena detentiva in Francia per un attentato a Parigi. Il suo racconto non contiene rivelazioni clamorose. Ma è ugualmente interessante perché conferma una volta di più, attraverso una testimonianza diretta, l’appoggio che i regimi comunisti diedero al terrorismo internazionale e alle stragi commissionate a Carlos dai servizi di alcuni Paesi del Medio Oriente.
«La Stasi non ci ha mai utilizzato però ci permetteva di usare il territorio della Ddr come rifugio e base operativa. A Berlino Est Carlos teneva i contatti con i Paesi arabi e con altri movimenti terroristici tra cui l’Eta degli indipendentisti baschi. La città al di là del Muro era uno specie di luogo d’incontro del terrorismo internazionale, lì venivano pianificati gli attentati e lì avvenivano i pagamenti agli esecutori delle stragi. Spesso Carlos si recava anche a Bucarest per procurarsi documenti falsi, una specialità dei servizi romeni».Catturato in Sudan nel 1994, Carlos fu estradato in Francia dove è stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di due poliziotti nel 1975. Uno dei tanti conti con la giustizia. Secondo il Bild Zeitung, sarebbero più di 1.500 le vittime delle stragi e dei dirottamenti riconducibili a Carlos e al suo gruppo. Una vita accompagnata da una lunga striscia di sangue ma sempre vissuta nell’agiatezza. «Carlos si faceva pagare molto bene dai suoi committenti», racconta la sua ex-compagna. «Pasteggiavamo a base di champagne e caviale, trascorrevamo lunghi periodi in ville con piscina o in grandi alberghi. Quando eravamo nei Paesi arabi, le spese venivano pagate dai governi che ci ospitavano. Nella Ddr invece dovevamo pagare noi i conti, ma i soldi non ci sono mai mancati. Ricordo che una volta ricevette una grande somma dalla Libia e un’altra 200mila dollari in contanti dai servizi iracheni». Occhi verdi, capelli corvini, lineamenti marcati che rivelano un carattere ribelle, un volto oggi segnato da rughe profonde ma che un tempo doveva essere capace di sedurre, la Kopp, che ha anche avuto una figlia da Carlos, distrugge la leggenda secondo la quale lo sciacallo era un grande conquistatore di donne. «La mia attrazione per lui - racconta nell’intervista - nasceva da una mia malattia interiore, da un mio bisogno perverso di sentirmi ostaggio, prigioniera. Quanto a lui è sempre stato un amante mediocre. I primi tempi prima di fare l’amore metteva la pistola sul tavolo. Diceva di essere un rivoluzionario, un vero comunista. In realtà era un reazionario, un macho dalle idee ristrette come tutti i terroristi che ho conosciuto».
Chi è Carlos
Nato in Venezuela nel 1949, Ilich Ramírez Sánchez, noto come “Carlos” o “lo sciacallo” riceve da suo padre, avvocato, una formazione marxista. Il nome Ilich s’ispira infatti a Lenin. Da ragazzo partecipa al movimento comunista giovanile. Oltre allo spagnolo, impara l’arabo, il russo, il francese e l’inglese. Studia a Londra e a Mosca, abbraccia la causa palestinese e va in Giordania, in un campo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. È lì che prende lo pseudonimo di Carlos. La sua carriera di terrorista comincia nel 1973, quando, per conto dell’Fplp, Carlos prenderà parte a diversi atti terroristici, tra cui dirottamenti e missioni per conto dei servizi del blocco sovietico. Arrestato nel ’94 e processato, Carlos sta scontando l’ergastolo in Francia. L’appellativo “sciacallo” gli è stato dato dopo l’uscita del libro Il giorno dello Sciacallo, in cui lo sciacallo è un terrorista assoldato per eliminare de Gaulle. Ha avuto tre mogli: prima la tedesca Magdalena Kopp (da cui ha avuto la figlia Elba Rosa), poi una palestinese e infine Isabelle Coutant-Peyre, che è anche il suo avvocato.

tratto da Il Giornale

L'alto Adige è italiano. Chi non vuole il Tricolore emigri in Austria

Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano vuole che le forze di polizia in azione nel Sudtirolo parlino italiano e tedesco. Il problema è che selezionare un numero adeguato di poliziotti, carabinieri e finanzieri poliglotti è un’impresa molto ardua. Così il governatore sudtirolese ha chiesto che lo Stato promuova concorsi riservati alla popolazione locale. In caso contrario, Bolzano chiederà di non dipendere più da Roma per il reclutamento delle proprie forze di polizia. E Karl Zeller, deputato della Südtiroler Volkspartei, è pronto a presentare una proposta per reintrodurre l’arruolamento diretto nelle forze dell’ordine.
La polemica è nell’aria da qualche giorno. Era stata sollevata dalla «pasionaria» sudtirolese Eva Klotz, scandalizzata da un episodio capitato la scorsa settimana: alcuni giovani sarebbero stati «umiliati» da due Carabinieri che avevano fermato la loro auto in una località della Val Pusteria e si erano rivolti loro in italiano, perché «qui siamo in Italia e si parla italiano».
Il quotidiano in lingua tedesca Dolomiten ha subito cavalcato la protesta pretendendo «sanzioni severe» per la pattuglia di militari: il bilinguismo negato sarebbe una vera emergenza nella provincia di Bolzano e Durnwalder dovrebbe essere più rigoroso nel difendere i diritti della minoranza linguistica. Il governatore si è schierato con l’«ala dura» tedesca e ha scritto una lettera dettagliata al ministro dell’Interno, Giuliano Amato, sottolineando che «tra le forze dell’ordine ci sono sempre meno altoatesini» ed esigendo che le prossime forze di polizia siano reclutate attraverso concorsi riservati ai residenti in Alto Adige, in grado di esprimersi nelle lingue ufficiali. «Altrimenti - ha detto il “kaiser” del Sudtirolo nell’incontro con la stampa di ogni lunedì - non ci resterà che chiedere la competenza sulla polizia per la provincia autonoma». Questa volta, il «kaiser» vuole il suo esercito come accade per esempio in Germania, Austria e Stati Uniti, dove accanto alla polizia federale c’è anche una polizia regionale.