giovedì 16 ottobre 2008

Genocidio comunista. Holodomor, sfida per la memoria

Non chiedono soldi, né risarcimenti, ma solo che il mondo si ricordi di loro. Gli ucraini discendenti delle vittime dell’Holodomor, la carestia indotta da Stalin che negli anni Trenta portò alla morte oltre sette milioni di persone, da anni si battono affinché la loro tragedia sia riconosciuta come uno dei grandi genocidi del Novecento.
Anche gli ucraini d’Italia, i duecentocinquantamila immigrati regolari, chiedono al nostro Paese un gesto di solidarietà storica. Lo fanno attraverso una lettera aperta inviata ai presidenti delle Camere da Oleksandr Horodetskyy, presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia, che chiede al nostro Parlamento di riconoscere l’Holodomor come 'genocidio del popolo ucraino', di condannare il principale responsabile, Stalin, e – forse il punto più importante – di inserire la conoscenza di quel dramma nei programmi scolastici.
In realtà, una bozza di risoluzione orientata proprio in questo senso giace già, da anni, nei cassetti della Camera: si tratta della risoluzione 7/00384 proposta da Gustavo Selva alla commissione Affari esteri e comunitari, con un «iter in corso» (mirabili eufemismi dell’anchilosata burocrazia parlamentare) dal 3 gennaio 2004. Gli ucraini d’Italia vorrebbero un passo più concreto. La catastrofica carestia che colpì l’Ucraina nei primi anni Trenta, raggiungendo il picco tra il 1932 e il 1933, fu la diretta conseguenza della collettivizzazione dell’agricoltura operata dal regime comunista; in Ucraina l’iniziativa si abbatté sulla struttura economica del Paese, largamente agricolo e ripartito in fattorie di proprietà individuale.
Nelle campagne furono inviati coloni di stretta fede bolscevica, selezionati tra gli operai industriali delle città, per scalzare i tanti contadini ucraini che si opponevano alla collettivizzazione: i kulaki, come vennero spregiativamente definiti dal regime che li accusava di nascondere il grano. La produttività agricola crollò e il grano inviato a Mosca nel 1932 fu poco più di un terzo di quanto programmato: un deficit che scatenò la repressione bolscevica, prima diretta contro i kulaki e le loro famiglie, con oltre centomila condanne a morte, alla detenzione o alla deportazione nei gulag siberiani, poi con la deliberata decisione di affamare l’Ucraina. L’Unione sovietica aveva già conosciuto una grave carestia nel 1921-1923 e un’altra l’avrebbe afflitta nel 1947, ma mentre queste sono imputabili al collasso infrastrutturale seguito alla Rivoluzione bolscevica o alla Seconda guerra mondiale, quella ucraina del 1932-1933 fu causata da una precisa scelta politica, messa in pratica con apposite azioni amministrative.
Stalin e i vertici comunisti 'punirono' l’Ucraina per le resistenze alla collettivizzazione agricola e per il mancato raggiungimento dei livelli di produzione previsti da Mosca, e infatti le misure restrittive si concentrarono contro i contadini di etnia ucraina: una commissione speciale guidata da Vjaceslav Molotov, il futuro ministro degli Esteri, ordinò il 9 novembre 1932 di requisire dai villaggi ucraini non solo il grano, ma anche barbabietole, patate, verdure e ogni altro tipo di cibo; il 6 dicembre il decreto fu rafforzato dal divieto di commerciare generi alimentari e dalla requisizione delle risorse finanziarie.
Apposite brigate effettuarono incursioni nelle fattorie per portar via il grano raccolto, senza tener conto se i contadini avessero cibo sufficiente per nutrirsi o se si lasciavano sementi per la prossima semina; l’intera regione tra il Don e il Caucaso fu isolata dal resto del mondo dalle truppe dell’Nkvd, la polizia politica del regime, e al suo interno si iniziò presto a morire d’inedia. Il bilancio è ancora oggetto degli studi degli storici; la cifra generalmente accolta indica almeno sette milioni di vittime, ma esistono anche stime al ribasso (tre milioni) e al rialzo (fino a dieci milioni).
Tema di dibattito è anche la possibilità stessa di applicare la definizione di 'genocidio' all’Holodomor: tramontate le difese ideologiche che minimizzavano la carestia e la imputavano non a scelte deliberate, ma a errori involontari (e agli stessi kulaki), resta da definire la volontà di colpire un determinato gruppo etnico, o piuttosto un certo gruppo sociale – una 'classe', nel lessico marxista. Anche quest’interpretazione appare però negli ultimi anni in ribasso, e trova sempre maggior credito una lettura dei fatti che insiste sulla specifica volontà di colpire gli ucraini in quanto tali, sia pure identificandoli con i kulaki «nemici del popolo».
È questa la posizione sulla quale insistono non solo gli ucraini d’Italia, ma anche lo stesso governo di Kiev, che rimarcano come la carestia indotta si sia affiancata a un processo di russificazione culturale e sprituale che ancora oggi segna l’Ucraina, con un’ampia porzione del Paese ormai abitata da russofoni. Una spina nel fianco nel Paese della Rivoluzione arancione, in bilico tra Europa e Russia, che si appresta a celebrare, il quarto sabato di novembre, il settantacinquesimo anniversario delle stragi.

fonte: Avvenire

domenica 28 settembre 2008

“L'Islam trasformerà l'Occidente”. Parola di sceicco. Europa sempre più terra di conquista musulmana

L’Islam ha le idee chiare e programmi precisi sull’Occidente, ma l’Occidente li ha sull’Islam?

Lo sceicco Omar Bakri, originario della Siria, ha istituito e dirige l’Islamic Religious Court a Londra ed è a capo dell’organizzazione islamica Al-Muhajiroun.
Tiene lezioni e conferenze in Inghilterra e nel mondo. Queste sono alcune sue tipiche interviste rilasciate recentemente a quotidiani e televisioni. Le sue dichiarazioni e i suoi insegnamenti sono emblematici dei piani islamisti contro le democrazie europee.
Il quotidiano arabo-londinese Al-Hayat, per esempio, in una serie di articoli sulla comunità musulmana in Gran Bretagna, ha raccolto queste sue affermazioni trascritte dal Middle East Media Research Institute.

Intervistatore: Ho ascoltato la sua lezione sulle fondamenta del credo, e sembra che non siate interessati a portare gli studenti nella società britannica, cioè non li aiutate a essere musulmani britannici.
Bakri: Nel mio metodo di educazione sono contrario all’idea di integrazione. Non crediamo che sia consentito integrarsi nelle società in cui viviamo. Non sono un sostenitore dell’isolamento dalla società e non sono un sostenitore dell’integrazione in essa. Sono un sostenitore di cambiare la società per mezzo della mia religione, non per essere cambiato da essa.

E dove condurrà questa vita di separazione?
La vita di separazione condurrà a un cambiamento nella situazione del paese in cui viviamo, come i musulmani hanno cambiato la situazione in Abissinia e in Indonesia. Trasformeremo l’Occidente in un regime islamico per invasione esterna o culturale. Se Allah vuole, trasformeremo l’Occidente in Dar Al-Islam [cioè, in una regione sotto la regola islamica, ndr] per mezzo di un’invasione dall’esterno. Se uno Stato islamico cresce e invade l’Occidente noi saremo il suo esercito e i suoi soldati dall’interno. Altrimenti cambieremo l’Occidente attraverso un’invasione ideologica da qui, senza guerra e uccisioni. O noi predicheremo a loro ed essi accetteranno l’Islam, o noi vivremo tra loro ed essi saranno influenzati dalle nostre vite e accetteranno l’Islam come una soluzione politica ai loro problemi, non come una soluzione ideologica. Gli occidentali ci hanno imposto una legge artificiale, e il futuro regime islamico imporrà loro regole islamico-religiose. Il musulmano agirà secondo questa legge volontariamente e chiunque non sia musulmano farà questo per forza di legge. Io non obbedisco alla legge artificiale. Anche se non la vìolo, non obbedisco ad essa. Allah ha detto: Non obbedite agli infedeli e agli ipocriti.

Come si può vivere in una società in cui si è un estraneo?
L’Islam è una religione della legge della natura. Quando un uomo incontra problemi egli utilizza la legge della natura. In America si è sviluppata recentemente una discussione sulla separazione tra uomini e donne nelle università.

Perché?
Perché ci sono problemi. Ci sono ragazze che restano incinte a un’età giovane, senza marito. Non c’è alcun motivo di mischiare i sessi all’interno delle università. Io vivo ai margini della legge esistente, finché ciò sia compatibile con la legge naturale e non sia in conflitto con l’Islam. Alcuni paesi hanno cominciato a discutere la questione della punizione dei ladri. Nell’ex Unione Sovietica dicevano che avrebbero tagliato la mano del ladro. Questa è la legge di natura, perché è la legge severa che dissuade il ladro dal commettere il reato.

Lei è accusato di legami con organizzazioni verso le quali la Gran Bretagna è ostile e che essa vede come nemici. Lei predica ai suoi alunni di vedere il movimento talebano e Osama bin Laden come il gruppo che sarà salvato il Giorno del Giudizio.
Finché le mie parole non diventano azioni, non fanno del male!

La seguente intervista, invece, è stata rilasciata alla Tv libanese OTV e riportata da Memri Tv.

Intervistatore: Perché lei ce l’ha con l’Inghilterra?
Bakri: I miei problemi con la Gran Bretagna sono causati dal fatto che la sua legge non è la legge di Allah. Io seguo il vero Salafismo: pregare una religione pura e completa, dove noi brandiremo le armi contro chiunque ci combatterà. Se mi s’impedisce di seguire la legge di Allah, allora non mi rimane che emigrare in Libano. In Gran Bretagna, nelle università, l’Islam si sta diffondendo in misura mai vista prima, e i non musulmani vi si stanno convertendo alla media di 21 persone al giorno. Nel giro di vent’anni la società britannica avrà una maggioranza musulmana. È per questo che le istituzioni di questo regime laico stanno combattendo chiunque si avvicini all’Islam.

Come giudica le vittime innocenti di attentati islamisti?
In caso di autodifesa ci sono vittime innocenti. Vengono uccise per sbaglio, come danni collaterali, non intenzionalmente. Quando le bombe americane colpiscono i musulmani hanno il diritto di fare rappresaglie, e possono esserci vittime.

C’è una differenza tra combattere un soldato americano o un militare israeliano impegnato in operazioni belliche?
Forse che quando un soldato americano si toglie la divisa e si mette in pigiama diventa proibito colpirlo?

C’era una base militare nelle Twin Towers?
Non si è trattato di un attentato solo alle Twin Towers ma anche al Dipartimento della Difesa statunitense. L’Undici settembre è stata un’operazione che ognuno giudica a suo modo, c’è chi è contrario e chi favorevole.

E quando gli esplosivi sono messi sui treni o nei bar?
Se si è sotto occupazione nemica e si compiono attacchi è una cosa... Voi potete definire queste operazioni come terrorismo. Ma oggi l’America rappresenta il campo del terrorismo occidentale. Ci sono due tipi di terrorismo: quello benedetto e quello deplorevole. Lo stesso è per la violenza. La violenza può uccidere o salvare vite. La violenza americana uccide, così il suo terrorismo è condannabile, laddove la violenza dei mujahidin è usata per difesa e come rappresaglia per proteggere vite e onore. Il loro terrorismo è benedetto. Non ogni terrorismo è deprecabile.

Quindi perché lei ha preso la cittadinanza inglese?
Io non l’ho presa. Loro me l’hanno data. Io appartengo all’Islam. Non appartengo all’Inghilterra. Io ero un musulmano che viveva in Inghilterra, ora vivo in Libano.

E allora perché non l’ha rifiutata?
Io non uso i loro documenti, non ho il passaporto inglese, ne ho uno libanese. (Ospite in trasmissione: Quello inglese gliel’hanno tolto).

Intervistatore: Perché non l’ha restituito lei prima che glielo requisissero?
Loro mi hanno tolto il mio diritto di cittadinanza. Non mi hanno più dato il passaporto perché mi sono rifiutato di giurare fedeltà alla regina e alla legge inglese. Io obbedisco solo ad Allah e al suo messaggero.

fonte: Occidentale

sabato 27 settembre 2008

La «cellula del Sauerland» i kamikaze bianchi che fanno paura all’Europa

Li chiamano «kamikaze bianchi», sono l’incubo dei servizi segreti occidentali e delle basi Nato in Afghanistan.
Da mesi all’entrata di quelle fortezze campeggia la foto di Eric Breininger. Ha un volto da sbarbato e il passaporto tedesco non gli attribuisce più di 21 anni. La spiegazione sotto la foto parla chiaro. È considerato un pericoloso militante suicida, un fanatico addestrato nei campi del terrore fondamentalista e alla ricerca di un obbiettivo.
Lo fa capire pure lui nel video registrato in un santuario integralista tra le montagne del Waziristan pakistano. Eric, il kamikaze bianco, imbraccia una mitragliatrice russa annuncia, a nome dell’Unione del Jihad islamico, attentati contro i connazionali per «il loro coinvolgimento nella guerra in Afghanistan».
Dallo stesso campo è passato anche Houssain al-Malla, un 23enne libanese capace di sfoggiare apparenze occidentali e il più insospettabili degli accenti tedeschi. Eric e Houssain sono i più famosi, i più conosciuti, i più temuti tra i «kamikaze bianchi». Sull’aereo della Klm forse cercavano proprio loro. A loro si riferisce l’appello della polizia tedesca sulle tracce di due pericolosi fondamentalisti. L’insospettabile coppia sarebbe dunque tornata alle origini e si preparerebbe a colpire.
L’incubo, del resto, come già con Mohammed Atta, prende corpo dalla tranquilla Germania, alla vigilia del G8 del 7 giugno 2007.
In quei giorni la Cia passa a Berlino le comunicazioni intercorse tra alcuni telefoni tedeschi e una località del Waziristan pakistano base dell’Unione del Jihad islamico, una cellula al qaidista guidata da militanti uzbeki.Agli inquirenti tedeschi ci vuol poco per scoprire che da quel campo sono passati, nel marzo 2006, Fritz Gelowicz e Adem Yilmaz.
Il primo è il figlio 28enne di un medico bavarese convertitosi all’islam e trasformatosi in un fanatico nemico della civiltà occidentale. Il secondo è un turco trapiantato in Germania.
I due, con la collaborazione del 22enne Daniel Martin Schneider, un altro tedesco diventato esperto d’esplosivi durante il servizio militare, stanno accumulando prodotti chimici da usare nel corso di almeno tre attentati contro altrettanti basi americane.
Il complotto viene sventato ai primi d’ottobre di un anno fa con l’ irruzione nella casa di campagna del Sauerland dove i tre stanno già miscelando gli esplosivi. Ma il cerchio non è chiuso.
L’operazione, innescata da un contrattempo, non ha permesso di identificare tutti i membri della cellula del Sauerland e chiarire i legami con il «centro multiculturale» di Neu Ulm, nel sud della Germania dove Fritz Gelowicz venne convertito all’islam da Yehia Yousif un predicatore da tempo svanito nel nulla.
Da Neu Ulm si snoda la pista che porta Gelowicz e decine di militanti prima in Dubai, poi in Iran e infine nel Waziristan pakistano. E a confermare il timore che quella pista sia stata usata da molti altri militanti ci pensa Cüneyt Ciftci, un ventenne tedesco di origini turche svanito assieme ad Eric Breininger Houssain al-Malla lo scorso ottobre.
Il 3 marzo di quest’anno Ciftci si trasforma nel primo kamikaze con cittadinanza tedesca guidando un camion imbottito d’esplosivo contro una base americana di Khost.
Nei giorni successivi la Germania assiste sconvolta al video testamento di quel giovane felice e sorridente che canta «fortunati noi perché la morte ci regala una nuova alba, fortunati noi bruciati in nome dell’Islam». Da ieri la stessa Germania si chiede quanti siano gli Eric e i Ciftci nascosti nelle sue città.

fonte: Il Giornale

venerdì 26 settembre 2008

Islam, Fatwa saudita: Donne guardino con un solo occhio. Uomini impongano a moglie un niqab monofessura

Sono troppi, davvero troppi i centimetridi pelle che il niqab - il velo integrale islamico - permette divedere.
La sensibilità d'un uomo potrebbe essere turbataosservando le fessure che mostrano gli occhi, spesso truccati,delle donne.
Quindi, il noto dotto islamico Sheikh Mohammed alHabdan ha invitato i pii mariti a fare pressione sulle loro mogliper utilizzare un niqab con una sola fessura e, possibilmente, piccola: in fondo, guardare da un solo occhio è sufficiente pernon inciampare.
Il sito web della tv al Arabiya riporta estesamente il nuovoeditto religioso del predicatore, molto noto per le sueapparizioni televisive.
"Una donna pia non esce di casa truccataanche se coperta con il niqab", premette il dottore della legge. Quindi è opportuno che le donne indossino un velo che non permetta d'intravedere la lascivia del trucco. Cioè, "un niqab con una sola fessura, possibilmente piccola, giusto per noninciampare quando si cammina".
La controversa "fatwa" è stata pronunciata in una trasmissione dell'emittente satellitare religiosa, al Majd. L'imam ha invitato gli uomini a "fare pressione sulle proprie donne" perché adottino il niqab monocululare. E ha dato diverse motivazioni. Una delle quali di carattere economico.
"La donna, per abbellire la zona intorno agli occhi, spende un sproposito", ha affermato il religioso, con un'argomentazione che fa pensare a esperienze vissute in prima persona. Ma l'argomento più forte è quello sessuale. Le donne, con quel filo di trucco che s'intravede tra le fessure del niqab, "inducono in tentazione i giovani, facendo loro salire il sangue al cervello".
Non parliamo del "colmo" di quelle donne, anche sposate, che osano truccarsi sotto il velo.
"A che pro lo fanno?" chiede lo sceicco, facendo intendere d'essere ben informato sugli scopi reconditi d'un comportamento così "provocatorio". Come si rimedia, allora? Facile, le donne guardino da un solo occhio e indossino niqab all'uopo realizzati.
L'imam sostiene che bisognerebbe vietare "la vendita dei niqab non consoni alla Shariya islamica", i quali "hanno ben due fessure e, per giunta, sono spesso talmente grandi da fare intravedere le guance". Bisogna, continua il dotto, ritornare ai saggi discepoli del Profeta, che hanno imposto alle loro donne un velo casto "con una fessura piccola per un solo occhio".
In fin dei conti cosa è peggio? "Inciampare su una pietra per la strada, oppure fare incendiare le voglie d'un giovane, guadagnandosi la dannazione
eterna?"

fonte: Apcom

Il testamento biologico divide eccome, ma in modo un po’ ovattato

“Nessuna svolta”, era stato il commento di monsignor Elio Sgreccia, già presidente della Pontificia accademia per la vita.
“Nulla è mutato”, ha ribadito ieri, intervistato da Avvenire, il cardinale Camillo Ruini; aggiungendo “in tutta franchezza” di condividere “le preoccupazioni espresse da Giuliano Ferrara”.
E di volerlo “rassicurare” sul fatto che scopo della legge, come è tornata a spiegare Eugenia Roccella sul Giornale, sarebbe quello di fermare “il lungo movimento sotterraneo che avrebbe voluto condurre all’eutanasia senza nemmeno passare dal Parlamento”, lasciando il malato “sul pendio scivoloso dell’arbitrio di un giudice”.
La raffica di autorevoli interventi e precisazioni volti a puntualizzare, e a circoscrivere, le parole del cardinale Angelo Bagnasco all’assemblea della Cei indicano, di riflesso, l’esistenza nel mondo cattolico di un dibattito acceso, pur nei modi tradizionalmente ovattati.
La “svolta tattica”, come qualcuno la chiama, sulla legislazione di fine vita è arrivata forse in modo troppo verticale e repentino per essere subito metabolizzata da quei settori più impegnati, e da anni, sui temi bioetici. Realisti e intransigenti discutono nel Movimento per la Vita; e va notato che sull’ultimo numero di Medicina & Morale, la rivista bioetica della Cattolica, Carlo Casini e Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza & Vita hanno firmato insieme un articolo sul caso Englaro, assai problematico sulle sue eventuali ricadute legislative.
Dura contrarietà invece dal comitato Verità e Vita, retto dal bioeticista Mario Palmaro, voce dell’ala intransigente del mondo pro life.Non uniforme è anche il mondo dei Medici cattolici, nonostante un comunicato dell’Amci di Milano aveva salutato con “estremo piacere” le aperture che rimbalzavano a fine agosto dal Meeting di Rimini.
L’unanimismo non appartiene neppure a un movimento sempre compatto e attento alle indicazioni della Cei come Cl, e che ha visto un politico come Maurizio Lupi (Pdl) tra i primi a schierarsi assieme a Roccella sull’opportunità della legge. Sul giornale online di area Compagnia delle opere, il Sussidiario. net, Assuntina Morresi ha approvato la necessità della nuova linea, motivandola con i rischi del vuoto legislativo dopo il caso Englaro.
Le ha risposto senza condividere, tra gli altri, Felice Achilli, presidente di Medicina e persona, l’associazione di settore ciellina. Secondo il quale “il problema non è la sussistenza di un ‘vuoto normativo’”, che invece è adeguatamente presidiato dalla Costituzione e dalla deontologia medica.Il nocciolo duro delle perplessità sta nel convincimento di molti che introdurre una legge sul fine vita, anche se verrà fatto con ogni accortezza, finirà per creare mentalità, rafforzando l’idea già diffusa che esista una “vita non più degna”.
Inoltre per molti medici, tra cui Achilli, la legge minerebbe la fiducia del paziente nel medico, che invece è proprio il vulnus da curare. I segnali maggiori vengono comunque da Scienza & Vita, il pensatoio bioetico ruiniano. L’annuncio di Roccella sulla legge aveva causato più di uno scossone interno, e ieri finalmente si è riunito a Roma il direttivo per decidere la linea da seguire.
Ne è uscito ovviamente un appoggio a Bagnasco, ma intessuto di molte cautele: “Scienza & Vita ribadisce i principi che ha sempre sostenuto a tutela della vita umana e della sua indisponibilità e auspica che un eventuale intervento legislativo si ispiri a quel ‘favor vitae’ che è la vera matrice unificante dei valori costituzionali”, si legge nel comunicato. All’ordine del giorno c’erano anche le dimissioni del professor Adriano Pessina, che aveva abbandonato polemicamente proprio a causa della svolta sul testamento biologico.
Le dimissioni sono state respinte, rilanciando almeno nella forma le possibilità di dialogo tra posizioni differenti che, pare di capire, non sono solo quelle di Pessina.
Urge dibattito, e al momento sono latitanti molti politici di centrodestra che, negli anni scorsi, si sono più spesso fatti sentire su questi temi.

fonte: Il Foglio

mercoledì 24 settembre 2008

Doppio cognome, continuano i deliri della Corte di Cassazione

L’insostenibile creatività della solita sezione
Nel nome della madre, questa volta, rischia di commettersi un altro 'piccolo delitto' ai danni del diritto e dell’equilibrio dei poteri nel nostro Paese.
Un nuovo tentativo di imporre soluzioni legislative attraverso una sentenza 'creativa' della Corte di Cassazione, scavalcando di fatto il Parlamento, facendo leva e forzando allo stesso tempo il diritto europeo.
Il caso è quello di una coppia che, di comune accordo, vorrebbe trasmettere ai figli il cognome materno anziché quello paterno, come previsto dalla normativa vigente e com’è da consuetudine stratificatasi nei secoli.
Per due gradi di giudizio si sono visti rifiutare la richiesta. Per il semplice fatto che la legge non lo prevede e – come dovrebbe essere naturale – un giudice non può che applicare le norme esistenti. Ieri invece la prima sezione civile della Cassazione ha emesso un’ordinanza nella quale da un lato si valuta che i tempi siano maturi per cambiare la consuetudine italiana e, dall’altro, si cerca di colmare direttamente il vuoto normativo in materia.
Come? Chiedendo di trasmettere gli atti al primo presidente della stessa Cassazione, affinché valuti se rimettere la questione alle sezioni unite.
Queste ultime potrebbero, «adottando un’interpretazione della norma di sistema costituzionalmente orientata», 'disapplicare' in sostanza la legge per come è oggi e prevedere – almeno in caso di comune accordo tra i genitori – che possa essere trasmesso ai figli legittimi il cognome della madre.
Diversamente, sentenzia sempre la prima prima sezione della Corte suprema, «se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell’attività interpretativa», andrebbe valutato «se la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale».
Ora, che si possano cambiare le norme e le consuetudini sulla trasmissioni del cognome non è certo un tabù. Nella passata legislatu­ra, un disegno di legge era già stato ampia­mente discusso in Parlamento e l’iter del­l’approvazione è stato interrotto solo dallo scioglimento delle Camere. Nulla impedi­rebbe ora di riprendere in mano quel testo o altri analoghi disegni di legge già ripresenta­ti.
Per discuterli, modificarli ove fosse neces­sario, e approvare una nuova norma. Legife­rando – occorre ricordarlo – come è preroga­tiva esclusiva del Parlamento democratica­mente eletto.
Per l’ennesima volta, invece, la stessa sezione che ha emesso la discussa sentenza sul caso di Eluana Englaro prova a forzare, con un’interpretazione creativa dei propri poteri. Si tenta così di imporre un cambiamento della legge sulla base, tra l’al­tro, di motivazioni che appaiono discutibili sul piano del diritto.
Basti dire che la senten­za si basa «sul probabilemutamento delle norme comunitarie», riferito alle previsioni del Trattato di Lisbona ancora non del tutto ratificato.
E soprattutto che, appellandosi al principio della non discriminazione per ses­so (in questo caso della donna) finisce per intervenire in una materia – il diritto di fami­glia – che gli stessi trattati costitutivi dell’U­nione europea prevedono essere di esclusiva competenza nazionale. Un evidente corto­circuito.
Con il rischio, per il futuro, di vede­re stravolgere altri pezzi fondamentali delle regole che presiedono alla nostra vita fami­liare, sulla base non di un processo di rifor­ma democratica, ma delle sensazioni, dei convincimenti e magari degli umori del pre­sidente di una sezione della Cassazione.

fonte: Avvenire

martedì 23 settembre 2008

Testamento biologico, Eminenza, qui la cosa non funziona

Il capo dei vescovi molla una posizione strategica sul tema della vita

Eminentissimo e reverendissimo cardinal Bagnasco, stavolta non siamo proprio d’accordo.
La sua di ieri fu una prolusione buona e onesta, ma la parte relativa al testamento biologico, altrimenti detto dichiarazioni o direttive anticipate, dava l’impressione di una rinuncia.
Di più, le sue parole di accettazione del testamento biologico davano l’impressione di una risposta intimidita e confusa a una cultura postmoderna che si mangiucchia pezzo per pezzo non tanto, ciò che non è la nostra specialità, la dottrina della chiesa, quanto ciò che resta della resistenza culturale al relativismo soggettivista.
Se abbiamo capito bene, al di là dei dettagli e delle interpretazioni, il cuore del suo intervento sul caso di Eluana Englaro, e la sua novità, è in questo: fate pure una legge in cui si registri come norma universalmente valida la volontà soggettiva sul tema di come si desidera morire.
La vita è un tabù, nel senso che è un mistero.
Nel mondo liberale figlio della cultura creaturale giudeo-cristiana e del suo concetto di persona titolare di diritti innati, “life, liberty and the pursuit of happyness”, la vita è un dogma costituzionale. Se le cose stessero altrimenti e laddove effettivamente stanno altrimenti, della vita si potrebbe fare, e si fa in effetti, quel che si decide di fare di volta in volta, in base a considerazioni di arbitrio soggettivo che si fanno legge, cultura, norma giuridica e morale.
Al servizio anche della morte, se necessario, come nei casi dell’aborto volontario e dell’eutanasia. Se su questo fronte la chiesa cattolica tiene, tutto tiene, in un certo senso.
I tabù sono fatti anche per essere elusi o violati o trasgrediti. Ma abbatterli e proclamarli morti e sepolti di fronte al mondo equivale ad abbattere il mistero, che è il pane della fede e della comunione liturgica nella chiesa, se non erriamo.
Per quanto ci riguarda, peggio ancora, equivale a recidere quel “legame” di intelletto e d’amore che dà senso a una civiltà liberale e alla libertà.
Equivale a trasformarla piano piano, passo dopo passo, in una democrazia libertaria su fondamento ateo e materialista.
Puoi rifiutare una cura e lasciarti morire.
E’ un fatto. Ma una legge che stabilisca questo fatto come diritto è un’altra cosa.
Se la legge sia accettata e filtrata dal pensiero cristiano, è un’altra cosa ancora.

fonte: Il Foglio