lunedì 25 agosto 2008

Mamme in Cina

Mentre le Olimpiadi mostrano al mondo una Cina moderna, telegenica, spettacolare, una madre adottiva riflette sul posto dove è nata la sua bimba cinese, che tre anni fa venne lasciata davanti alla porta di un orfanotrofio con il cordone ombelicale ancora attaccato.
Diane Clehane, scrittrice e giornalista che vive a Manhattan, ha raccontato nell’edizione americana di Vanity Fair la storia di sua figlia Madeline Jing-Mei (“a little lucky girl”, le sorridono gli estranei che la incontrano al supermercato con la mamma) e dei sessantamila bambini cinesi, novanta per cento femmine, che dal 1991 sono stati adottati da famiglie americane. Si adotta in Cina più che in ogni altro posto del mondo.
Una gioia pazzesca, “ma è impossibile ignorare il fatto che io ho avuto una figlia perché qualcun altro è stato costretto ad abbandonarla”. Perché “fino a quando non sono entrata nel processo di adozione, non avevo la percezione reale del costo umano” della politica del figlio unico, della discriminazione delle femmine, di tutte le ragazzine che vivono negli orfanotrofi, di quelle mai nate, di quelle non registrate, delle neonate buttate all’angolo di una strada.
Milioni e milioni di bambine scomparse (e bellissime, bravissime atlete olimpiche che lanciano il loro messaggio di forza e speranza, poi però una bambina di sette anni esclusa dai canti ufficiali per decisione governativa: troppo brutta).
Le madri adottive sanno che dovranno raccontare alle figlie la loro storia, dovranno spiegare quale scellerata azione politica le ha condotte, per fortuna, tra le loro braccia: molte ritagliano tutti gli articoli sulla politica del figlio unico (che non sarà abbandonata almeno fino al 2010) e sugli abbandoni delle femmine. “Voglio aiutare mia figlia a essere orgogliosa del suo paese, ma penso che lei non arrivi da questa Cina moderna e televisiva. Lei appartiene a una Cina che quasi tutto il mondo non vedrà mai”, ha scritto Diane Clehane.
Qui non sono tutte come Angelina Jolie. Le mamme (e non sono tutte come Angelina Jolie, non adottano per motivi umanitari, ma per avere un figlio) lo sanno. Cindy Hsu fa la reporter televisiva, vive a New York, ha adottato una bimba che adesso ha quattro anni (le autorità cinesi, tra l’altro, tendono a impedire qualunque contatto con i genitori naturali), e ha una nonna cinese: “Le madri cinesi non sentono lo stesso nostro senso di perdita: mia nonna mi disse molto tempo fa che non capiva la sofferenza delle americane per gli aborti. E’ un altro stato mentale. In certe famiglie, se c’è qualcuno che non ha figli, vengono a prendere uno dei tuoi bambini. C’è qualcosa che non va, là”. Qualcosa che non va e che un po’ di belletto olimpionico non nasconde.
“Tutti quelli che erano con me a Piazza Tiananmen scrivono da Pechino dicono la stessa cosa – spiega Zirinsky, madre adottiva che ha lavorato molti anni in Cina – c’è questa facciata scintillante che disperatamente cerca l’approvazione del mondo, ma passi sei blocchi di case ed ecco la Cina che abbiamo conosciuto. E’ davvero difficile gettarsi alle spalle le cose tremende che hanno messo radici in quella società”. Bambine gettate via, bambine che non sono niente, bambine che stanno scomparendo. Le madri che mettono a letto le loro “little lucky girl” e guardano tutto questo estivo scintillio televisivo, pieno di magnifici corpi, sorrisi, medaglie e modernità, hanno già visto l’altra faccia della Cina, e non l’applaudiranno mai.
fonte: Il Foglio

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