domenica 28 settembre 2008

“L'Islam trasformerà l'Occidente”. Parola di sceicco. Europa sempre più terra di conquista musulmana

L’Islam ha le idee chiare e programmi precisi sull’Occidente, ma l’Occidente li ha sull’Islam?

Lo sceicco Omar Bakri, originario della Siria, ha istituito e dirige l’Islamic Religious Court a Londra ed è a capo dell’organizzazione islamica Al-Muhajiroun.
Tiene lezioni e conferenze in Inghilterra e nel mondo. Queste sono alcune sue tipiche interviste rilasciate recentemente a quotidiani e televisioni. Le sue dichiarazioni e i suoi insegnamenti sono emblematici dei piani islamisti contro le democrazie europee.
Il quotidiano arabo-londinese Al-Hayat, per esempio, in una serie di articoli sulla comunità musulmana in Gran Bretagna, ha raccolto queste sue affermazioni trascritte dal Middle East Media Research Institute.

Intervistatore: Ho ascoltato la sua lezione sulle fondamenta del credo, e sembra che non siate interessati a portare gli studenti nella società britannica, cioè non li aiutate a essere musulmani britannici.
Bakri: Nel mio metodo di educazione sono contrario all’idea di integrazione. Non crediamo che sia consentito integrarsi nelle società in cui viviamo. Non sono un sostenitore dell’isolamento dalla società e non sono un sostenitore dell’integrazione in essa. Sono un sostenitore di cambiare la società per mezzo della mia religione, non per essere cambiato da essa.

E dove condurrà questa vita di separazione?
La vita di separazione condurrà a un cambiamento nella situazione del paese in cui viviamo, come i musulmani hanno cambiato la situazione in Abissinia e in Indonesia. Trasformeremo l’Occidente in un regime islamico per invasione esterna o culturale. Se Allah vuole, trasformeremo l’Occidente in Dar Al-Islam [cioè, in una regione sotto la regola islamica, ndr] per mezzo di un’invasione dall’esterno. Se uno Stato islamico cresce e invade l’Occidente noi saremo il suo esercito e i suoi soldati dall’interno. Altrimenti cambieremo l’Occidente attraverso un’invasione ideologica da qui, senza guerra e uccisioni. O noi predicheremo a loro ed essi accetteranno l’Islam, o noi vivremo tra loro ed essi saranno influenzati dalle nostre vite e accetteranno l’Islam come una soluzione politica ai loro problemi, non come una soluzione ideologica. Gli occidentali ci hanno imposto una legge artificiale, e il futuro regime islamico imporrà loro regole islamico-religiose. Il musulmano agirà secondo questa legge volontariamente e chiunque non sia musulmano farà questo per forza di legge. Io non obbedisco alla legge artificiale. Anche se non la vìolo, non obbedisco ad essa. Allah ha detto: Non obbedite agli infedeli e agli ipocriti.

Come si può vivere in una società in cui si è un estraneo?
L’Islam è una religione della legge della natura. Quando un uomo incontra problemi egli utilizza la legge della natura. In America si è sviluppata recentemente una discussione sulla separazione tra uomini e donne nelle università.

Perché?
Perché ci sono problemi. Ci sono ragazze che restano incinte a un’età giovane, senza marito. Non c’è alcun motivo di mischiare i sessi all’interno delle università. Io vivo ai margini della legge esistente, finché ciò sia compatibile con la legge naturale e non sia in conflitto con l’Islam. Alcuni paesi hanno cominciato a discutere la questione della punizione dei ladri. Nell’ex Unione Sovietica dicevano che avrebbero tagliato la mano del ladro. Questa è la legge di natura, perché è la legge severa che dissuade il ladro dal commettere il reato.

Lei è accusato di legami con organizzazioni verso le quali la Gran Bretagna è ostile e che essa vede come nemici. Lei predica ai suoi alunni di vedere il movimento talebano e Osama bin Laden come il gruppo che sarà salvato il Giorno del Giudizio.
Finché le mie parole non diventano azioni, non fanno del male!

La seguente intervista, invece, è stata rilasciata alla Tv libanese OTV e riportata da Memri Tv.

Intervistatore: Perché lei ce l’ha con l’Inghilterra?
Bakri: I miei problemi con la Gran Bretagna sono causati dal fatto che la sua legge non è la legge di Allah. Io seguo il vero Salafismo: pregare una religione pura e completa, dove noi brandiremo le armi contro chiunque ci combatterà. Se mi s’impedisce di seguire la legge di Allah, allora non mi rimane che emigrare in Libano. In Gran Bretagna, nelle università, l’Islam si sta diffondendo in misura mai vista prima, e i non musulmani vi si stanno convertendo alla media di 21 persone al giorno. Nel giro di vent’anni la società britannica avrà una maggioranza musulmana. È per questo che le istituzioni di questo regime laico stanno combattendo chiunque si avvicini all’Islam.

Come giudica le vittime innocenti di attentati islamisti?
In caso di autodifesa ci sono vittime innocenti. Vengono uccise per sbaglio, come danni collaterali, non intenzionalmente. Quando le bombe americane colpiscono i musulmani hanno il diritto di fare rappresaglie, e possono esserci vittime.

C’è una differenza tra combattere un soldato americano o un militare israeliano impegnato in operazioni belliche?
Forse che quando un soldato americano si toglie la divisa e si mette in pigiama diventa proibito colpirlo?

C’era una base militare nelle Twin Towers?
Non si è trattato di un attentato solo alle Twin Towers ma anche al Dipartimento della Difesa statunitense. L’Undici settembre è stata un’operazione che ognuno giudica a suo modo, c’è chi è contrario e chi favorevole.

E quando gli esplosivi sono messi sui treni o nei bar?
Se si è sotto occupazione nemica e si compiono attacchi è una cosa... Voi potete definire queste operazioni come terrorismo. Ma oggi l’America rappresenta il campo del terrorismo occidentale. Ci sono due tipi di terrorismo: quello benedetto e quello deplorevole. Lo stesso è per la violenza. La violenza può uccidere o salvare vite. La violenza americana uccide, così il suo terrorismo è condannabile, laddove la violenza dei mujahidin è usata per difesa e come rappresaglia per proteggere vite e onore. Il loro terrorismo è benedetto. Non ogni terrorismo è deprecabile.

Quindi perché lei ha preso la cittadinanza inglese?
Io non l’ho presa. Loro me l’hanno data. Io appartengo all’Islam. Non appartengo all’Inghilterra. Io ero un musulmano che viveva in Inghilterra, ora vivo in Libano.

E allora perché non l’ha rifiutata?
Io non uso i loro documenti, non ho il passaporto inglese, ne ho uno libanese. (Ospite in trasmissione: Quello inglese gliel’hanno tolto).

Intervistatore: Perché non l’ha restituito lei prima che glielo requisissero?
Loro mi hanno tolto il mio diritto di cittadinanza. Non mi hanno più dato il passaporto perché mi sono rifiutato di giurare fedeltà alla regina e alla legge inglese. Io obbedisco solo ad Allah e al suo messaggero.

fonte: Occidentale

sabato 27 settembre 2008

La «cellula del Sauerland» i kamikaze bianchi che fanno paura all’Europa

Li chiamano «kamikaze bianchi», sono l’incubo dei servizi segreti occidentali e delle basi Nato in Afghanistan.
Da mesi all’entrata di quelle fortezze campeggia la foto di Eric Breininger. Ha un volto da sbarbato e il passaporto tedesco non gli attribuisce più di 21 anni. La spiegazione sotto la foto parla chiaro. È considerato un pericoloso militante suicida, un fanatico addestrato nei campi del terrore fondamentalista e alla ricerca di un obbiettivo.
Lo fa capire pure lui nel video registrato in un santuario integralista tra le montagne del Waziristan pakistano. Eric, il kamikaze bianco, imbraccia una mitragliatrice russa annuncia, a nome dell’Unione del Jihad islamico, attentati contro i connazionali per «il loro coinvolgimento nella guerra in Afghanistan».
Dallo stesso campo è passato anche Houssain al-Malla, un 23enne libanese capace di sfoggiare apparenze occidentali e il più insospettabili degli accenti tedeschi. Eric e Houssain sono i più famosi, i più conosciuti, i più temuti tra i «kamikaze bianchi». Sull’aereo della Klm forse cercavano proprio loro. A loro si riferisce l’appello della polizia tedesca sulle tracce di due pericolosi fondamentalisti. L’insospettabile coppia sarebbe dunque tornata alle origini e si preparerebbe a colpire.
L’incubo, del resto, come già con Mohammed Atta, prende corpo dalla tranquilla Germania, alla vigilia del G8 del 7 giugno 2007.
In quei giorni la Cia passa a Berlino le comunicazioni intercorse tra alcuni telefoni tedeschi e una località del Waziristan pakistano base dell’Unione del Jihad islamico, una cellula al qaidista guidata da militanti uzbeki.Agli inquirenti tedeschi ci vuol poco per scoprire che da quel campo sono passati, nel marzo 2006, Fritz Gelowicz e Adem Yilmaz.
Il primo è il figlio 28enne di un medico bavarese convertitosi all’islam e trasformatosi in un fanatico nemico della civiltà occidentale. Il secondo è un turco trapiantato in Germania.
I due, con la collaborazione del 22enne Daniel Martin Schneider, un altro tedesco diventato esperto d’esplosivi durante il servizio militare, stanno accumulando prodotti chimici da usare nel corso di almeno tre attentati contro altrettanti basi americane.
Il complotto viene sventato ai primi d’ottobre di un anno fa con l’ irruzione nella casa di campagna del Sauerland dove i tre stanno già miscelando gli esplosivi. Ma il cerchio non è chiuso.
L’operazione, innescata da un contrattempo, non ha permesso di identificare tutti i membri della cellula del Sauerland e chiarire i legami con il «centro multiculturale» di Neu Ulm, nel sud della Germania dove Fritz Gelowicz venne convertito all’islam da Yehia Yousif un predicatore da tempo svanito nel nulla.
Da Neu Ulm si snoda la pista che porta Gelowicz e decine di militanti prima in Dubai, poi in Iran e infine nel Waziristan pakistano. E a confermare il timore che quella pista sia stata usata da molti altri militanti ci pensa Cüneyt Ciftci, un ventenne tedesco di origini turche svanito assieme ad Eric Breininger Houssain al-Malla lo scorso ottobre.
Il 3 marzo di quest’anno Ciftci si trasforma nel primo kamikaze con cittadinanza tedesca guidando un camion imbottito d’esplosivo contro una base americana di Khost.
Nei giorni successivi la Germania assiste sconvolta al video testamento di quel giovane felice e sorridente che canta «fortunati noi perché la morte ci regala una nuova alba, fortunati noi bruciati in nome dell’Islam». Da ieri la stessa Germania si chiede quanti siano gli Eric e i Ciftci nascosti nelle sue città.

fonte: Il Giornale

venerdì 26 settembre 2008

Islam, Fatwa saudita: Donne guardino con un solo occhio. Uomini impongano a moglie un niqab monofessura

Sono troppi, davvero troppi i centimetridi pelle che il niqab - il velo integrale islamico - permette divedere.
La sensibilità d'un uomo potrebbe essere turbataosservando le fessure che mostrano gli occhi, spesso truccati,delle donne.
Quindi, il noto dotto islamico Sheikh Mohammed alHabdan ha invitato i pii mariti a fare pressione sulle loro mogliper utilizzare un niqab con una sola fessura e, possibilmente, piccola: in fondo, guardare da un solo occhio è sufficiente pernon inciampare.
Il sito web della tv al Arabiya riporta estesamente il nuovoeditto religioso del predicatore, molto noto per le sueapparizioni televisive.
"Una donna pia non esce di casa truccataanche se coperta con il niqab", premette il dottore della legge. Quindi è opportuno che le donne indossino un velo che non permetta d'intravedere la lascivia del trucco. Cioè, "un niqab con una sola fessura, possibilmente piccola, giusto per noninciampare quando si cammina".
La controversa "fatwa" è stata pronunciata in una trasmissione dell'emittente satellitare religiosa, al Majd. L'imam ha invitato gli uomini a "fare pressione sulle proprie donne" perché adottino il niqab monocululare. E ha dato diverse motivazioni. Una delle quali di carattere economico.
"La donna, per abbellire la zona intorno agli occhi, spende un sproposito", ha affermato il religioso, con un'argomentazione che fa pensare a esperienze vissute in prima persona. Ma l'argomento più forte è quello sessuale. Le donne, con quel filo di trucco che s'intravede tra le fessure del niqab, "inducono in tentazione i giovani, facendo loro salire il sangue al cervello".
Non parliamo del "colmo" di quelle donne, anche sposate, che osano truccarsi sotto il velo.
"A che pro lo fanno?" chiede lo sceicco, facendo intendere d'essere ben informato sugli scopi reconditi d'un comportamento così "provocatorio". Come si rimedia, allora? Facile, le donne guardino da un solo occhio e indossino niqab all'uopo realizzati.
L'imam sostiene che bisognerebbe vietare "la vendita dei niqab non consoni alla Shariya islamica", i quali "hanno ben due fessure e, per giunta, sono spesso talmente grandi da fare intravedere le guance". Bisogna, continua il dotto, ritornare ai saggi discepoli del Profeta, che hanno imposto alle loro donne un velo casto "con una fessura piccola per un solo occhio".
In fin dei conti cosa è peggio? "Inciampare su una pietra per la strada, oppure fare incendiare le voglie d'un giovane, guadagnandosi la dannazione
eterna?"

fonte: Apcom

Il testamento biologico divide eccome, ma in modo un po’ ovattato

“Nessuna svolta”, era stato il commento di monsignor Elio Sgreccia, già presidente della Pontificia accademia per la vita.
“Nulla è mutato”, ha ribadito ieri, intervistato da Avvenire, il cardinale Camillo Ruini; aggiungendo “in tutta franchezza” di condividere “le preoccupazioni espresse da Giuliano Ferrara”.
E di volerlo “rassicurare” sul fatto che scopo della legge, come è tornata a spiegare Eugenia Roccella sul Giornale, sarebbe quello di fermare “il lungo movimento sotterraneo che avrebbe voluto condurre all’eutanasia senza nemmeno passare dal Parlamento”, lasciando il malato “sul pendio scivoloso dell’arbitrio di un giudice”.
La raffica di autorevoli interventi e precisazioni volti a puntualizzare, e a circoscrivere, le parole del cardinale Angelo Bagnasco all’assemblea della Cei indicano, di riflesso, l’esistenza nel mondo cattolico di un dibattito acceso, pur nei modi tradizionalmente ovattati.
La “svolta tattica”, come qualcuno la chiama, sulla legislazione di fine vita è arrivata forse in modo troppo verticale e repentino per essere subito metabolizzata da quei settori più impegnati, e da anni, sui temi bioetici. Realisti e intransigenti discutono nel Movimento per la Vita; e va notato che sull’ultimo numero di Medicina & Morale, la rivista bioetica della Cattolica, Carlo Casini e Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza & Vita hanno firmato insieme un articolo sul caso Englaro, assai problematico sulle sue eventuali ricadute legislative.
Dura contrarietà invece dal comitato Verità e Vita, retto dal bioeticista Mario Palmaro, voce dell’ala intransigente del mondo pro life.Non uniforme è anche il mondo dei Medici cattolici, nonostante un comunicato dell’Amci di Milano aveva salutato con “estremo piacere” le aperture che rimbalzavano a fine agosto dal Meeting di Rimini.
L’unanimismo non appartiene neppure a un movimento sempre compatto e attento alle indicazioni della Cei come Cl, e che ha visto un politico come Maurizio Lupi (Pdl) tra i primi a schierarsi assieme a Roccella sull’opportunità della legge. Sul giornale online di area Compagnia delle opere, il Sussidiario. net, Assuntina Morresi ha approvato la necessità della nuova linea, motivandola con i rischi del vuoto legislativo dopo il caso Englaro.
Le ha risposto senza condividere, tra gli altri, Felice Achilli, presidente di Medicina e persona, l’associazione di settore ciellina. Secondo il quale “il problema non è la sussistenza di un ‘vuoto normativo’”, che invece è adeguatamente presidiato dalla Costituzione e dalla deontologia medica.Il nocciolo duro delle perplessità sta nel convincimento di molti che introdurre una legge sul fine vita, anche se verrà fatto con ogni accortezza, finirà per creare mentalità, rafforzando l’idea già diffusa che esista una “vita non più degna”.
Inoltre per molti medici, tra cui Achilli, la legge minerebbe la fiducia del paziente nel medico, che invece è proprio il vulnus da curare. I segnali maggiori vengono comunque da Scienza & Vita, il pensatoio bioetico ruiniano. L’annuncio di Roccella sulla legge aveva causato più di uno scossone interno, e ieri finalmente si è riunito a Roma il direttivo per decidere la linea da seguire.
Ne è uscito ovviamente un appoggio a Bagnasco, ma intessuto di molte cautele: “Scienza & Vita ribadisce i principi che ha sempre sostenuto a tutela della vita umana e della sua indisponibilità e auspica che un eventuale intervento legislativo si ispiri a quel ‘favor vitae’ che è la vera matrice unificante dei valori costituzionali”, si legge nel comunicato. All’ordine del giorno c’erano anche le dimissioni del professor Adriano Pessina, che aveva abbandonato polemicamente proprio a causa della svolta sul testamento biologico.
Le dimissioni sono state respinte, rilanciando almeno nella forma le possibilità di dialogo tra posizioni differenti che, pare di capire, non sono solo quelle di Pessina.
Urge dibattito, e al momento sono latitanti molti politici di centrodestra che, negli anni scorsi, si sono più spesso fatti sentire su questi temi.

fonte: Il Foglio

mercoledì 24 settembre 2008

Doppio cognome, continuano i deliri della Corte di Cassazione

L’insostenibile creatività della solita sezione
Nel nome della madre, questa volta, rischia di commettersi un altro 'piccolo delitto' ai danni del diritto e dell’equilibrio dei poteri nel nostro Paese.
Un nuovo tentativo di imporre soluzioni legislative attraverso una sentenza 'creativa' della Corte di Cassazione, scavalcando di fatto il Parlamento, facendo leva e forzando allo stesso tempo il diritto europeo.
Il caso è quello di una coppia che, di comune accordo, vorrebbe trasmettere ai figli il cognome materno anziché quello paterno, come previsto dalla normativa vigente e com’è da consuetudine stratificatasi nei secoli.
Per due gradi di giudizio si sono visti rifiutare la richiesta. Per il semplice fatto che la legge non lo prevede e – come dovrebbe essere naturale – un giudice non può che applicare le norme esistenti. Ieri invece la prima sezione civile della Cassazione ha emesso un’ordinanza nella quale da un lato si valuta che i tempi siano maturi per cambiare la consuetudine italiana e, dall’altro, si cerca di colmare direttamente il vuoto normativo in materia.
Come? Chiedendo di trasmettere gli atti al primo presidente della stessa Cassazione, affinché valuti se rimettere la questione alle sezioni unite.
Queste ultime potrebbero, «adottando un’interpretazione della norma di sistema costituzionalmente orientata», 'disapplicare' in sostanza la legge per come è oggi e prevedere – almeno in caso di comune accordo tra i genitori – che possa essere trasmesso ai figli legittimi il cognome della madre.
Diversamente, sentenzia sempre la prima prima sezione della Corte suprema, «se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell’attività interpretativa», andrebbe valutato «se la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale».
Ora, che si possano cambiare le norme e le consuetudini sulla trasmissioni del cognome non è certo un tabù. Nella passata legislatu­ra, un disegno di legge era già stato ampia­mente discusso in Parlamento e l’iter del­l’approvazione è stato interrotto solo dallo scioglimento delle Camere. Nulla impedi­rebbe ora di riprendere in mano quel testo o altri analoghi disegni di legge già ripresenta­ti.
Per discuterli, modificarli ove fosse neces­sario, e approvare una nuova norma. Legife­rando – occorre ricordarlo – come è preroga­tiva esclusiva del Parlamento democratica­mente eletto.
Per l’ennesima volta, invece, la stessa sezione che ha emesso la discussa sentenza sul caso di Eluana Englaro prova a forzare, con un’interpretazione creativa dei propri poteri. Si tenta così di imporre un cambiamento della legge sulla base, tra l’al­tro, di motivazioni che appaiono discutibili sul piano del diritto.
Basti dire che la senten­za si basa «sul probabilemutamento delle norme comunitarie», riferito alle previsioni del Trattato di Lisbona ancora non del tutto ratificato.
E soprattutto che, appellandosi al principio della non discriminazione per ses­so (in questo caso della donna) finisce per intervenire in una materia – il diritto di fami­glia – che gli stessi trattati costitutivi dell’U­nione europea prevedono essere di esclusiva competenza nazionale. Un evidente corto­circuito.
Con il rischio, per il futuro, di vede­re stravolgere altri pezzi fondamentali delle regole che presiedono alla nostra vita fami­liare, sulla base non di un processo di rifor­ma democratica, ma delle sensazioni, dei convincimenti e magari degli umori del pre­sidente di una sezione della Cassazione.

fonte: Avvenire

martedì 23 settembre 2008

Testamento biologico, Eminenza, qui la cosa non funziona

Il capo dei vescovi molla una posizione strategica sul tema della vita

Eminentissimo e reverendissimo cardinal Bagnasco, stavolta non siamo proprio d’accordo.
La sua di ieri fu una prolusione buona e onesta, ma la parte relativa al testamento biologico, altrimenti detto dichiarazioni o direttive anticipate, dava l’impressione di una rinuncia.
Di più, le sue parole di accettazione del testamento biologico davano l’impressione di una risposta intimidita e confusa a una cultura postmoderna che si mangiucchia pezzo per pezzo non tanto, ciò che non è la nostra specialità, la dottrina della chiesa, quanto ciò che resta della resistenza culturale al relativismo soggettivista.
Se abbiamo capito bene, al di là dei dettagli e delle interpretazioni, il cuore del suo intervento sul caso di Eluana Englaro, e la sua novità, è in questo: fate pure una legge in cui si registri come norma universalmente valida la volontà soggettiva sul tema di come si desidera morire.
La vita è un tabù, nel senso che è un mistero.
Nel mondo liberale figlio della cultura creaturale giudeo-cristiana e del suo concetto di persona titolare di diritti innati, “life, liberty and the pursuit of happyness”, la vita è un dogma costituzionale. Se le cose stessero altrimenti e laddove effettivamente stanno altrimenti, della vita si potrebbe fare, e si fa in effetti, quel che si decide di fare di volta in volta, in base a considerazioni di arbitrio soggettivo che si fanno legge, cultura, norma giuridica e morale.
Al servizio anche della morte, se necessario, come nei casi dell’aborto volontario e dell’eutanasia. Se su questo fronte la chiesa cattolica tiene, tutto tiene, in un certo senso.
I tabù sono fatti anche per essere elusi o violati o trasgrediti. Ma abbatterli e proclamarli morti e sepolti di fronte al mondo equivale ad abbattere il mistero, che è il pane della fede e della comunione liturgica nella chiesa, se non erriamo.
Per quanto ci riguarda, peggio ancora, equivale a recidere quel “legame” di intelletto e d’amore che dà senso a una civiltà liberale e alla libertà.
Equivale a trasformarla piano piano, passo dopo passo, in una democrazia libertaria su fondamento ateo e materialista.
Puoi rifiutare una cura e lasciarti morire.
E’ un fatto. Ma una legge che stabilisca questo fatto come diritto è un’altra cosa.
Se la legge sia accettata e filtrata dal pensiero cristiano, è un’altra cosa ancora.

fonte: Il Foglio

venerdì 19 settembre 2008

Gran Bretagna. Gli imam dell'odio: Fate più figli e conquisteremo il Regno

Il Sun filma un convegno shock di islamisti nell'East London

I predicatori dell'odio sono tornati, denuncia il Sun. Il tabloid britannico ha mandato una squadra di reporter in incognito a una riunione di islamisti nell'East London, in occasione dell'anniversario dell'11 settembre: Anjem Choudary, fra i più noti predicatori radicali, definito il successore dello sceicco Omar Bakri, ha minacciato che i musulmani conquisteranno un giorno il Regno Unito e "la bandiera dell'Islam sarà issata a Downing Street".
Choudary, il cui discorso è stato filmato ed è disponibile sul sito del Sun, sostiene che un'esplosione demografica permetterà ai musulmani di prendere il controllo del paese, che sarà finalmente governato in base alla 'sharia' o diritto islamico. "L'Islam è superiore e non sarà mai sorpassato. La bandiera dell'Islam sarà issata a Downing Street" ha dichiarato il responsabile del gruppo islamico britannico 'Al-Ghurabaa'.
Di fronte a una folla di un centinaio di giovani musulmani adoranti, scrive il Sun, Choudary ha detto che sarebbe semplice per un vasto numero di musulmani dichiarare il jihad, o guerra santa, contro il Regno Unito, e che ognuno di loro potrebbe diventare "una bomba a orologeria pronta a esplodere". Il predicatore è stato accolto con una vera e propria ovazione, quando ha dichiarato: "Circa 500 persone diventano musulmane ogni giorno nel paese".
"L'Home Office (il ministero dell'Interno britannico, ndr) riferisce che ci sono 1,5 milioni di musulmani, ma ce n'erano 1,5 milioni dieci anni fa - ha proseguito Choudary - e dal momento che i nostri fratelli a Bethnal Green, Whitechapel o altri posti (abitati in prevalenza da musulmani, ndr) hanno otto o nove figli ciascuno; otto figli da una parte, dieci da un'altra, 15 figli da un'altra...Ci dovrebbero essere almeno sei milioni di persone".
"Potrebbe essere quindi attraverso la semplice conversione che il Regno Unito diventerà uno stato islamico - ha detto ancora l'avvocato islamista - potremmo non avere mai bisogno di conquistarlo dall'esterno". La manifestazione, un dibattito su come l'Occidente ha "appreso le lezioni" dell'11 settembre, si è svolta in una sala sopra in una moschea di Leyton, fra pesanti misure di sicurezza, riferisce il Sun. All'ingresso, spiegano i giornalisti, i buttafuori chiedevano documenti di identità ai non musulmani.
"Non ci integriamo con la cristianità - ha tuonato Choudary - ci assicureremo che un giorno vi possiate integrare nella legge islamica. I nostri occhi sono su Downing Street". E ancora: "Ecco perché gli inglesi sono così preoccupati - ha affermato - sarebbe semplice per noi dichiarare la guerra santa nel paese e ognuno di noi potrebbe diventare una bomba a orologeria pronta a esplodere. Ma non siamo persone che tradiscono" ha assicurato.
Oltre a Choudary sono intervenuti al convegno durato tre ore, con tanto di pause per cibo e preghiere, alcuni dei volti più noti dell'estremismo britannico, fra cui Abu Omar, Saiful Islam, Abu Saalihah e Omar Bakri, in collegamento con la webcam dalla sua casa di Beirut. Parole di netta condanna sono seguite da parte dei musulmani moderati.
Iqbal Sacranie, già segretario del 'Muslim Council of Great Britain', ha sottolineato che "simili dichiarazioni, immorali e irresponsabili, non sono una novità da parte di Omar Bakri e la sua gente. Queste persone - ha aggiunto - sanno di non rappresentare il punto di vista della grande maggioranza, se non dell'intera comunità, dei musulmani nel Regno Unito". Scotland Yard ha chiesto al Sun una copia del video dell'evento, che sarà passato al vaglio delle forze dell'ordine. Per il momento non è stata avviata alcuna inchiesta. Ma fonti della polizia spiegano che "vogliono vedere se ci sia stata una qualsiasi violazione della legge".
fonte: NotizieAlice

mercoledì 17 settembre 2008

Europa sempre più islamica. La sharia comanda in Gran Bretagna

Quando qualche mese fa l'arcivescovo di Canterbury aveva osservato che «l'adozione in Gran Bretagna di alcuni aspetti della sharia islamica è inevitabile» era stato crocifisso da destra e da sinistra.
Ma ora il sistema giudiziario del Regno Unito ha accettato i poteri di giudici islamici in cause di divorzio, violenza all'interno della famiglia e dispute finanziarie.Cinque corti che giudicano in base alla legge coranica sono in funzione a Londra, Birmingham, Manchester, Bradford e Nuneaton e presto seguiranno Edimburgo e Glasgow.
La rete è diretta dallo sceicco Siddiqi, capo del Muslim Arbitration Tribunal di Nuneaton nel Warwikshire, che ha spiegato al Sunday Times di aver agito in base all'Arbitration Act del 1996, la legge britannica che attribuisce agli arbitrati valore legale se entrambe le parti nella disputa danno ai giudici il potere di emettere una sentenza nel loro caso.
Secondo l'Arbitration Act il verdetto di una corte islamica è valido e può essere messo in pratica da un tribunale ordinario del Regno o anche dall'Alta Corte.
Lo sceicco magistrato dice che i primi giudizi sono stati emessi nell'agosto del 2007 e che da allora sono stati già più di un centinaio, in materia di divorzio islamico, eredità e liti varie tra vicini di casa. Siddiqi ha rivelato che sono stati regolati sei casi di violenza tra coppie sposate, in collaborazione con la polizia. E ha sottolineato che ai mariti colpevoli di maltrattamenti è stato imposto di prendere lezioni di «gestione della loro ira» e sono stati sottoposti alla vigilanza degli anziani della comunità.
Dopo la sentenza della Sharia Court le donne hanno ritirato la denuncia di fronte alla polizia britannica: fatto più che positivo, ha detto il giudice islamico, perché si sono salvati dei matrimoni dando alle coppie una seconda opportunità di cominciare il loro rapporto matrimoniale.
«Ci limitiamo a regolare gli affari della nostra comunità », ha concluso.Qualcuno ha ricordato che in base allo stesso principio dell'arbitrato, già prima della legge del 1996 in Gran Bretagna hanno funzionato corti di diritto ebraico, Jewish Beth Din per casi di diritto civile.
«Se si lasciano lavorare corti ebraiche non si possono discriminare quelle islamiche», ha osservato il Muslim Council for Britain. Ma il rischio che nella Gran Bretagna multietnica si accetti un «sistema legale parallelo» ha fatto levare voci scandalizzate. Dominic Grieve, ministro ombra conservatore della Giustizia chiede di sapere «quali tribunali britannici stiano avallando decisioni di questo genere, perché agiscono al di fuori della legge».
«È semplicemente sconvolgente, nessun arbitrato in base alla sharia dovrebbe essere accettato o fatto valere dallo Stato britannico », ha detto il direttore del Centro per la Coesione Sociale.
Tra i casi dibattuti di fronte alla corte coranica di Nuneaton c'è stata una disputa ereditaria che divideva cinque figli, tre femmine e due maschi. Il dottor Siddiqi è stato soddisfatto della soluzione: ripartizione tra i cinque.
I suoi giudici hanno assegnato ai maschi il doppio della cifra attribuita alle donne, perché così stabilirebbe la sharia. Ma anche il magistrato più alto in grado del regno, Lord Chief Justice Phillips, approva l'uso della sharia in materia finanziaria e matrimoniale. Il ragionamento è che è meglio permettere ai musulmani di decidere secondo la sharia, alla luce del sole, che in segreto.
La Gran Bretagna è stato anche il primo Paese occidentale a lanciare sul mercato gli sharia bond: obbligazioni che si adeguano alla legge islamica, contraria agli interessi.

fonte: Il Corriere della Sera

lunedì 15 settembre 2008

Se il governo si scorda dei Carabinieri

Abituati a «obbedir tacendo e tacendo morir», i carabinieri non fanno notizia. Le categorie “à la page”, quelle di cui si parla nei talk show e che gli editorialisti amano innalzare a metafora del Paese, sono altre.
Fatte da gente che scende in piazza a gridare con i cartelli al collo, schierata politicamente e ben inquadrata dal sindacato. In questi giorni, ad esempio, c’è un gran daffare per convincere l’opinione pubblica che il futuro della nazione è appeso alle sorti dei dipendenti Alitalia e dei precari della scuola. In realtà si tratta di due categorie incapaci di arrendersi all’evidenza: i primi non hanno capito che il loro prossimo datore di lavoro sarà un privato che ha tutto l’interesse a non fallire, e magari anche a realizzare qualche profitto ogni tanto.
I privilegi di un tempo non sono più giustificabili né sostenibili, ora che lo Stato - per fortuna - ha deciso di uscire dalla partita. I precari della scuola, dal canto loro, stentano a realizzare che gli insegnanti sono troppi rispetto agli alunni. E il loro numero non è affatto servito ad innalzare la qualità dell’educazione. Semmai, anzi, ha avuto l’effetto opposto: i confronti internazionali sui risultati del sistema scolastico collocano l’Italia sempre più in fondo alle classifiche, specie quando si misura il livello di preparazione nelle discipline scientifiche.
In compenso la politica del «todos caballeros», adottata da decenni nella pubblica istruzione, è stata efficacissima nel creare clientele e aspettative, che nel corso degli anni si sono trasformate in pretese. Basta vedere la reazione dei diretti interessati quando è stato prospettato un loro inserimento nel turismo: invece di accendere ceri al Padreterno per essere stati sottratti alla via crucis che attende i normali lavoratori in esubero - i quali un ricollocamento in un settore così solido lo sognano di notte - hanno promesso un autunno di mobilitazione al ministro Mariastella Gelmini. Ci sarebbe da preoccuparsi per gli alunni, se non fosse che l’assenza di certi professori dalle aule probabilmente non nuocerà in alcun modo alla loro educazione.
Silvio Berlusconi e i suoi ministri, insomma, fanno bene a tirare dritto: dire ai dipendenti della compagnia di bandiera che l’alternativa al piano Fenice è il fallimento, e che i tempi per trovare un accordo sono già finiti, vuol dire parlare finalmente di Alitalia in modo realista.
Allo stesso modo, pagare meno insegnanti, e pagarli meglio, premiando i più meritevoli tra loro, significa aver colto l’essenza del problema.
Piuttosto, gli uomini del governo farebbero bene a preoccuparsi - e molto seriamente - dei carabinieri e dell’intero comparto delle forze dell’ordine.I militari dell’Arma oggi appaiono lasciati a se stessi. Eppure, a differenza di quanto accade per gli insegnanti, di loro c’è sempre più bisogno. Secondo le denunce, nel 2007 in Italia sono stati commessi 2, 9 milioni di reati, il 5, 2% in più rispetto al 2006.
Aumentano i borseggi e gli scippi, e i furti dentro casa registrano un’impennata di poco inferiore al venti per cento. In gran parte è il risultato dell’arrivo incontrollato di immigrati da dentro e fuori l’Unione europea: ormai il 40% dei detenuti nelle carceri italiane proviene da altri Paesi. Comprensibilissimo, quindi, che gli elettori si sentano sempre più insicuri dinanzi al crimine.
Meno comprensibile è il trattamento che riceve dallo Stato chi è chiamato a mettere un argine alla marea di delinquenti nostrali e d’importazione.
Ieri sera il Cocer, l’organismo che rappresenta i carabinieri, ha incontrato Berlusconi. Un faccia a faccia preceduto da un comunicato dai toni durissimi. Gli uomini della Benemerita si lamentano, tra le altre cose, di essere stati «colpiti indiscriminatamente con provvedimenti legislativi che li hanno ridotti al di sotto della soglia della povertà».
Chi scrive simili cose non è un cobas, ma un agente in divisa, e se calca i toni è perché sa che solo così può sperare di ottenere una quota di quell’attenzione normalmente riservata alle altre categorie.
Un carabiniere che rischia la pelle pattugliando le strade guadagna - a seconda del grado - tra i 1. 200 e 1. 500 euro al mese. Il primo aumento per anzianità arriva dopo quindici anni. Se ne fanno una questione di dignità, dunque, hanno i loro motivi.
Ignorare quanto c’è di vero nelle loro richieste sarebbe un triplice errore politico. Primo: chi ha votato l’attuale maggioranza si aspetta molto dal governo sul fronte della sicurezza. Lesinare su questo settore apparirebbe incomprensibile a tanti elettori.
Secondo: l’Arma rappresenta, in ogni sondaggio, una delle istituzioni in cui gli italiani ripongono più fiducia. Senza dubbio più che nel governo e nel parlamento. Inimicarsi i carabinieri non sembra idea adatta a un cacciatore di consensi come Berlusconi.
Terzo, i valori di tanti uomini in divisa sono molto simili a quelli con cui Giulio Tremonti si è appena fregiato il petto: Dio, patria e famiglia.
Gettarli nelle braccia del primo Di Pietro che passa significherebbe fare del male a loro e a se stessi. Berlusconi, se ci sei batti un colpo.

fonte: Fausto Carioti - Libero

domenica 14 settembre 2008

11 settembre, On.Bertolini (PDL): Per l'Occidente sia un monito a non abbassare la guardia e a sostenere chi si batte per la libertà

L’Onorevole Isabella Bertolini, Componente del Direttivo del PDL alla Camera, ha dichiarato:

Riguardando, a sette anni di distanza, le scene terrificanti dell’attacco terroristico portato dall’Islam radicale nel cuore dell’Occidente, al World Trade Center, dove sono morte migliaia di persone innocenti, colpite in modo vile dal terrorismo suicida, proviamo sempre più amore e rispetto per il coraggio mostrato da tanti, poliziotti, pompieri, gente comune, che si sono sacrificati ed hanno rischiato la propria incolumità per salvare altri uomini.
La memoria ci riempie di dolore immutato per l’inutile scempio di vite spezzate, ma ci riempie anche d’orgoglio constatare che l’Occidente, o almeno una grande parte di esso, non si è lasciato infiacchire e piegare dalla violenza barbara di chi odia la sua modernità, la sua libertà, la sua democrazia, ed ha reagito guardando in faccia il proprio nemico.
La data dell’11 settembre 2001 rimarrà un pilastro della storia mondiale.
Verrà ricordata come il momento della svolta, quando tutto il mondo ha dovuto constatare la faccia pericolosa e devastante dell’Islam radicale e fondamentalista, che, con ogni mezzo, anche il più abietto, cerca di riscattare le sconfitte di centinaia di anni fa per riprendere una progressiva supremazia.
Davanti a questo disegno non si possono chiudere gli occhi, come molti fanno per motivi ideologici, culturali o per paura, cercando di minimizzare e di giustificare la dimensione degli attacchi terroristici.
Né si devono accettare le pressioni intolleranti e di censura da parte dell’Islam fondamentalista nei confronti della nostra cultura e della nostra civiltà.
È per questo che dobbiamo guardare con amicizia e sostenere quei musulmani che sono oppressi nei loro Paesi e che agognerebbero ad un Islam dialogante ed attento ai diritti umani.
Mentre dobbiamo essere irremovibili contro tutti gli atti di oppressione che l’Islam fondamentalista sta perpetrando in molti aree del mondo, contro i cristiani, ma anche contro gli stessi musulmani, e sui quali c’è purtroppo un colpevole e complice silenzio da parte di molti Paesi europei, attraversati da una grande crisi d’identità, spirituale e culturale.
L’attacco alle Torri gemelle ha colpito il nostro mondo e il suo impatto nella nostra vita si ripete quotidianamente.
Serva quindi da monito continuo, a noi democratici e liberali, per non abbassare la guardia di fronte al ritorno della barbarie e della violenza oscurantista e per avere il coraggio di sostenere chi si batte per la libertà.

sabato 6 settembre 2008

«Io, nel ghetto cristiano dove gli emiri vietano di suonare le campane»

La sua diocesi copre tutta la penisola arabica. I suoi fedeli parlano tagalog, indi, urdu, arabo, inglese e cingalese. Le sue parrocchie non hanno croci, né campanili: bisogna stare attenti a non «offendere» i vicini musulmani. Niente campane per annunciare la messa. Niente processioni per le strade. È vietato.
Si muove in questo contesto l’arcivescovo Paul Hinder, dal 2005 vicario apostolico per l'Arabia, pastore della comunità cattolica in terra d’islam: Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Bahrain, Yemen e infine Arabia Saudita. Cappuccino, 66 anni, svizzero, monsignor Hinder guida circa due milioni di cattolici di 90 diverse nazionalità. Vive ad Abu Dhabi. Il suo ufficio è «vicino ad una delle più grandi moschee del Paese».
In un momento in cui è ai massimi livelli l’allarme per la persecuzione dei cristiani nel mondo, il vescovo d’Arabia racconta al Giornale la «libertà condizionata» dei cattolici in questo angolo di Medio Oriente. Dove, nonostante divieti e discriminazioni, «la comunità cresce ed è vitale».
Eccellenza, dopo le violenze in India, il Vaticano ha parlato di «cristianofobia» diffusa.
«Molto spesso la “cristianofobia” parte da condizioni sociali, economiche e politiche concrete. In tali situazioni la religione può essere strumentalizzata, senza essere la vera ragione di un conflitto. Ci vuole sempre un capro espiatorio. Come in India».
E nel mondo islamico, dove vive?
«Qui non parlerei di una “cristianofobia” generalizzata, anche se accomunare una certa politica occidentale con i cristiani può creare danno a tanti come in Irak o in Pakistan. Per questo guardiamo con apprensione ad una possibile guerra contro l’Iran, che potrebbe avere gravi ripercussioni per la convivenza».
Nella penisola araba vi è persecuzione religiosa?
«Bisogna fare una distinzione tra libertà religiosa e di culto. In Bahrain, Qatar, negli Emirati i cristiani sono liberi di professare nei compound adibiti al culto, dove si svolgono tutte le attività parrocchiali. Non c'è però libertà religiosa, perché non puoi decidere quale credo seguire: un musulmano non potrà mai convertirsi. Si tratta di una libertà condizionata, ma la comunità cresce».
Nella democratica India si uccidono i cristiani e nell’islamica Arabia il loro numero sale. In India vi è un movente politico dietro la persecuzione, mentre qui i cristiani non ricoprono alcun ruolo pubblico né hanno potere economico. La comunità è costituita al 90^ da immigrati che lavorano nei cantieri dell’Arabia del grande sviluppo edilizio. Quest’anno abbiamo inaugurato la prima chiesa in Qatar. Un evento storico».
Ma in Arabia Saudita si viene arrestati per una Bibbia...
«Questo è l’unico Paese dove non esiste neppure la libertà di culto. I cattolici sono circa 800mila. Non si può diffondere o possedere materiale religioso. Il re Abdallah, però, ha concesso la preghiera in luoghi privati, purché non si rechi disturbo».
In che senso, scusi?
«Ad esempio non possiamo operare o accettare conversioni e ogni rapporto troppo personale con musulmani è visto come sospetto. Il problema è definire con precisione questo confine tra pubblico e privato. In passato erano frequenti le irruzioni della polizia religiosa nelle case dei cristiani. Ora il governo sta cercando di rassicurarci e il fenomeno è molto diminuito».
Proprio da Ryadh arrivano, però, segnali di dialogo
«Credo nella sincerità del re saudita: la sua visita al Papa, gli incontri promossi a Madrid e a La Mecca sono gesti importanti. Il problema è che l’approccio dell’islam è sempre quello di dialogare per farsi conoscere. Non vi è autocritica e per questo è difficile una riforma. I leader religiosi più illuminati purtroppo sono messi a tacere dai fanatici e costretti a vivere sotto protezione. Il cammino è ancora lungo».
fonte: Il Giornale, 31 agosto 2008

lunedì 1 settembre 2008

Islam, così i frati non aiutano il Vangelo: la carità non converte i musulmani

Un campeggio musulmano nel convento francescano di Sassoferrato forse non è che un piccolo episodio fra i tanti che testimonia la rinuncia della Chiesa a far vivere il Vangelo.
I Francescani vantano il loro spirito di carità (oggi si chiama «accoglienza», «dialogo») ma sanno benissimo che lo spirito di carità non converte i musulmani al cristianesimo e che fra poco il Vangelo morirà a causa della morte dei suoi «portatori».
Questa è la durissima verità cui devono riflettere oggi i Religiosi, francescani e non francescani, cui devono riflettere tutti i cristiani, sia i politici che i semplici sudditi, ma soprattutto deve riflettere la Chiesa: o ci si impegna a predicare il Vangelo oppure lo spirito di carità dei Francescani contribuirà a farlo sparire più presto.
Il cristianesimo è in grave crisi. Il cattolicesimo in particolare mostra ferite profonde, sia a livello di credenti, sia e ancor più nelle sue strutture portanti, quelle strutture che fin quasi dalle origini hanno permesso alla Chiesa di radicarsi in Europa e di farsi conoscere ed apprezzare in tutto il mondo.
Parlo, ovviamente, degli Ordini religiosi, dai Benedettini ai Francescani, ai Domenicani, ai Gesuiti, che vedono oggi i loro noviziati quasi del tutto deserti; parlo del clero diocesano che, non soltanto è sempre meno numeroso, ma è privo di mordente, ripiegato stancamente su parole logorate dall'uso e vuote di contenuto.
Parlo delle Suore, un tempo braccio forte delle attività della Chiesa, presenti in tutti i centri nevralgici della società, dalle scuole agli ospedali, in ogni Continente ed oggi costrette a trovare le adepte in India, nelle Filippine, in Africa per non chiudere i loro istituti. Le cifre sono impressionanti: nei quaranta anni del dopo Concilio i religiosi sono passati complessivamente da 329.799 a 214.903 con un calo del 34,83%. I frati minori (francescani appunto) erano nel 1965 27.009 e sono scesi nel 2005 a 15.794 con un calo del 41,52%. I Gesuiti erano, sempre nel 1965, 36.038 e sono diventati nel 2005 19.850.
Le religiose, che sono sempre state 4 volte di più dei religiosi (questo è un dato costante della storia della Chiesa) sono passate nello stesso periodo da 961.264 a 633.675 con un calo del 34,07% (le cifre sono tratte dall'articolo di A. Pardilla nella rivista Testimoni del dicembre 2007).
Da che cosa è provocata questa crisi? È troppo facile addebitarla ai costumi dell'Occidente, alla emancipazione delle donne, al consumismo e alla dissipazione della vita moderna.
I costumi non erano più morigerati ai tempi delle lotte iconoclastiche quando tuttavia i frati non esitavano ad impegnarsi in prima persona contro l'Imperatore per difendere il diritto alle immagini. La moralità non era migliore nei primi secoli dopo il Mille quando per difendere il Vangelo sono scesi in campo San Bernardo, San Francesco, San Domenico.
Per quanto allora fossero spesso gli stessi Papi occasione di scandalo, essi però credevano profondamente nella forza assoluta di Gesù, nella salvezza proveniente dal Vangelo, nel dovere della Chiesa di salvaguardare la novità incomparabile del suo messaggio.
La fragilità degli uomini era una cosa, la fede un'altra. Dunque, oggi, la Chiesa deve guardare prima di tutto a se stessa e chiedersi quali siano i motivi veri del distacco dei credenti, un distacco che è incominciato con il Concilio Vaticano II, quindi proprio nel momento in cui si è deciso di dare impulso al dialogo con le altre confessioni religiose.
Deve chiedersi perciò se questi motivi non si trovino principalmente nel suo aver rinunciato a predicare la specificità del Vangelo, la rottura compiuta da Gesù con l'Antico Testamento, con lo spirito dell'Antico Testamento. L'equivoco terribile del nostro tempo - un equivoco che ha pervaso tutti gli aspetti della cultura e della vita sociale - è che bisogna essere uguali per non farsi la guerra.
Questo significa che non crediamo affatto al messaggio d'amore di Gesù, visto che invece è proprio mantenendo le differenze che dimostriamo di saperci amare. D'altra parte certamente non sono i conciliaboli teologici o liturgici a poterci avvicinare ai credenti nell'Antico Testamento e quindi nel Corano.
La cultura discesa da Roma e dal Vangelo è quella che ha informato di sé la lingua, il diritto, l'architettura, la scultura, la pittura, la musica delle nazioni d'Europa ed è questo che conta nella vita dei popoli: lo spirito con il quale hanno incarnato la propria religione. Il Corano vieta le rappresentazioni, vieta le immagini.
Questo significa che non appena i musulmani saranno spiritualmente la maggioranza (in Italia manca poco perché non è tanto questione di numero quanto questione di forza propulsiva) quasi tutta la nostra cultura dovrà essere cancellata. I francescani odiano forse l'Italia?
fonte: il Giornale