martedì 31 luglio 2007

Vogliono islamizzare l'Occidente

Ha fatto clamore don Georg Gaenswein, segretario del Papa, il quale ha dichiarato alla Sueddeutsche Zeitung: “I tentativi di islamizzare l’Occidente non vanno taciuti. Ed il pericolo connesso per l’identità dell’Europa non può essere ignorato a causa di una falsa idea del rispetto”. Il prelato ha sottolineato che “la parte cattolica vede molto chiaramente (tale pericolo) e lo dice anche”. Il discorso del Papa a Ratisbona del settembre scorso – ha affermato – “dovrebbe servire a contrastare una certa ingenuità”.
E’ un allarme esagerato? Può apparire tale solo alle “anime belle” che ignorano la storia. Che ci viene ricordata da due storici (peraltro non cattolici). “Per quasi mille anni” ha scritto Bernard Lewis “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam”.
Samuel Huntington ha ricordato inoltre che “l’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente”.
Il Papa conosce molto bene la storia. E anche l’attuale situazione. Fece impressione, al sinodo dei vescovi del 1999, monsignor Giuseppe Bernardini, arcivescovo di Smirne, in Turchia, il quale riferì che, durante un incontro ufficiale di dialogo islamo-cristiano, un’autorevole personalità musulmana si rivolse ai cristiani con queste parole dure e calme: “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo”. Dunque in Vaticano si torna a ricordare quanto il Papa disse a Ratisbona anche se quel discorso scatenò le violente reazioni del mondo islamico.
Finora non era mai stato rievocato, perché, paradossalmente, fu proprio il papa, insultato e minacciato, a doversi quasi scusare con gli intolleranti e i violenti. In quel clima di grave tensione il Vaticano fu indotto a dare il suo “sì” all’ingresso della Turchia nella Ue, contraddicendo quanto Ratzinger aveva sempre sostenuto da cardinale. Anche nei giorni scorsi il Segretario di Stato ha ribadito questa nuova, disastrosa posizione. Il fatto che in Vaticano oggi si torni a citare il discorso di Ratisbona – che, sottolinea La Repubblica, “piacque molto” fra gli addetti ai lavori, come l’ex segretario di stato americano Kissinger - può significare che il Papa tornerà a far prevalere la cautela sulla questione turca?
L’allora cardinal Ratzinger, nell’ottobre 2004, mi diceva che era molto preoccupato per l’ingresso in Europa di un Paese di 70 milioni di musulmani: “l’amicizia e il rispetto sono necessari verso tutti i Paesi, ma inserire la Turchia in Europa mi sembra contraddittorio. Sono proprio la storia, la cultura e la religione ad aver disegnato il confine dell’Europa con la Turchia. Non si possono ignorare tutte queste cose”.
Se è vero, com’è vero, che incombe su di noi una minaccia di islamizzazione, non si vede perché mai si dovrebbe spalancare la porta dell’Europa a un Paese che non è mai stato europeo e che all’apice della sua potenza, in passato, ha ferocemente tentato di invaderci (l’Europa moderna è nata letteralmente opponendosi all’invasione turca).
Un Paese, la Turchia, la cui democraticità è molto discussa, che oggi è governato da un partito islamico, che ancora reprime chi parla del genocidio armeno (il primo del Novecento: un milione e mezzo di cristiani armeni massacrati dai turchi).
Con l’ingresso della Turchia nella UE ci troveremo 70 milioni di islamici in casa. Più islamizzazione di così…Ma in queste ore un’altra voce si è fatta sentire, quella del nuovo capo della polizia Antonio Manganelli il quale, alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, ha affermato che il terrorismo internazionale “preoccupa perché l’Italia è oggetto di invettive”. La stessa cosa, giorni fa, aveva detto, nella stessa sede, il capo dei Carabinieri, generale Siazzu.Manganelli indica – come fatto che deve allarmare – l’operazione che ha sbaragliato una presunta cellula che si muoveva attorno alla moschea di Ponte Felcino, a Perugia.
“Il modo di operare dell’imam di Perugia” ha affermato il capo della Polizia “è simile a quello riscontrato nei progetti degli attentati di Londra del 21 luglio 2005, dove non sono stati usati tritolo o dinamite, ma una miscela di prodotti chimici legali, come fertilizzanti ed altro, acquistabili anche al supermarket”.
Il “caso Ponte Felcino” è molto istruttivo. Il paese, alla periferia di Perugia, ha 7 mila abitanti e gli immigrati sono circa il 10 per cento della popolazione. Una percentuale abnorme. E’ in miniatura l’esempio della società multiculturale che la Sinistra invoca per il nostro futuro. Qua gli immigrati hanno trovato le porte spalancate che la Sinistra indica come antidoto alla “guerra di civiltà”. Ma proprio qua, guarda caso, pochi giorni fa è stato arrestato, fra gli altri, l’imam della locale moschea per le imputazioni di cui hanno parlato tutti i giornali.
Il Gip giustamente ricorda che poi il giudizio spetterà alla magistratura. Ed è giusto essere garantisti con tutti. Va però sottolineato che questo imam, in pubblico, non si presentava affatto come un estremista. Il periodico “Quattrocolonne” (della Scuola di giornalismo che ha sede proprio lì), in un suo numero recente si era occupato proprio dell’immigrazione a Ponte Felcino. Si riportavano le dichiarazioni degli immigrati che chiedevano agli italiani di mostrarsi “aperti”. E le risposte delle istituzioni che si fanno in quattro per “integrare”, per favorire l’incontro, per “fare largo all’interculturalità”.
Secondo l’idea del “dialogo” cara alla Sinistra che governa l’Umbria e a qualche gruppo cattolico, gli stranieri “sono una risorsa e non un problema”.Su “Quattrocolonne” si parlava anche dell’imam di Ponte Felcino come uno impegnato a favorire l’avvicinamento tra comunità musulmana e quella italiana. L’imam dichiarava che, con la Circoscrizione, “stiamo organizzando per aprile una manifestazione per pulire le sponde del Tevere che vedrà impegnati, fianco a fianco, immigrati e italiani. C’è un muro di sfiducia” denunciava ancora l’imam “nei confronti dei musulmani e questa barriera va abbattuta. La gente ha paura perché pensa che siamo venuti qui per rubare il lavoro. Si tratta di una falsità. Conto molto sull’opera dei musulmani italiani che frequentano la moschea. Il loro aiuto potrebbe essere determinante nel percorso di integrazione di noi musulmani stranieri nella vostra società”. Parole che acquisteranno un significato opposto se la magistratura accerterà la fondatezza delle accuse o la loro infondatezza. In ogni caso il problema immigrazione resta colossale anche a prescindere dal fenomeno terroristico.
Il Gip di Perugia, Nicla Flavia Restivo, che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare, ha pronunciato parole su cui riflettere seriamente: “A Ponte Felcino il controllo dello Stato è stato latitante per anni. Un intero quartiere di Perugia, che ufficialmente era territorio italiano, nella pratica era ed è un’isola”.
L’immigrazione può essere il “cavallo di Troia” dell’islamismo terrorista e anche dell’islamizzazione (due fenomeni da non confondere). Ma è pure un problema drammatico in sé quando è governato male. Secondo le rilevazioni dell’istituto americano Pew Research Center, condotto in 47 stati, il 64 per cento degli italiani ritengono l’immigrazione un enorme problema nazionale. E’ un primato mondiale. Ma la nostra classe di governo pensa l’esatto opposto e impone agli italiani la sua ideologia “immigratoria”. Originata da cosa? Dal disprezzo della nostra storia e della nostra identità? Da un (miope) calcolo elettorale? Da ideologia terzomondista? Forse da tutto questo condito dall’ “ingenuità” irresponsabile denunciata da don Georg.
Tratto da Libero

domenica 29 luglio 2007

Gay, a sinistra la pazzia regna sovrana

Le pazzie dei ministri per il «bacio gay»
Il «bacio» della discordia. Un’effusione dalle modalità ancora poco chiare, ma che ha già scatenato un polemico ping pong tra destra e sinistra sulla vicenda dei due fidanzati gay al Colosseo.
Se la prima si indigna perché un verbale dei carabinieri non viene creduto e l’Arma viene infangata con accuse di omofobia, la seconda grida alla discriminazione.
«Ovunque si calpestino i diritti degli omosessuali si abbassa la soglia della civiltà», afferma il ministro alle Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, annunciando per settembre una campagna per il rispetto delle differenze. Anche il collega della alla Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, vede in questa polemica il segno che «l’Italia ha elementi di arretratezza. Di fronte a tanta violenza nel mondo dire che due persone che si baciano fanno del male significa che la follia è arrivata a livelli inconcepibili». E Alfonso Pecoraro Scanio, titolare dell’Ambiente, auspica che «una normativa contro le intolleranze sia votata non solo dall’Unione, ma anche dai settori più avanzati del centrodestra». L’Arcigay ritiene «urgente» l’approvazione del pacchetto anti-violenza attualmente in esame al Parlamento.
Ma il centrodestra sposta il baricentro della questione: non si discutono i diritti civili, ma quel bacio che proprio innocente non sembra essere. E i carabinieri hanno spiegato chiaramente che non di bacio si trattava ma di ben altro: un reato che sarebbe stato perseguito anche di fronte a una coppia etero: lo dimostrano le 1.640 denunce l’anno per atti osceni. Insomma, siamo alla discriminazione al contrario. «È vergognoso - afferma il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione - che un ministro attacchi i carabinieri come se fossero gli scherani di un potere reazionario e oscuro. Sarebbe, bene, anzi, che ci fosse meno ostentazione». «Il governo sembra diventato il megafono dell’Arcigay», aggiunge il collega di partito Carlo Giovanardi e un altro Udc, Luca Volontè giudica «ideologiche e gravissime» le dichiarazioni della sinistra: «È discriminazione verso gli eterosessuali e non-applicazione del codice penale per la casta gay».
Che Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia incolpa di strumentalizzare l’episodio «per affermare un modello di società alternativo, laicista e relativista». E se il senatore azzurro Lucio Malan accusa Pollastrini e Turco di «pregiudizi contro i carabinieri, forse come retaggio del loro lungo passato comunista», Massimo Polledri della Lega dice «basta con questa inutile gazzarra contro l’Arma. Il senso del pudore va tutelato». Provocatorio, invece, Riccardo Pedrizzi, responsabile di An per le politiche familiari: «Presenteremo subito una proposta di legge per modificare il codice penale così: “Chiunque (tranne una coppia gay) compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni“». Soluzione salomonica nelle parole del pg della Cassazione, Vito D’Ambrosio: «Il solo bacio non è reato. Se invece si tratta di atti più spinti, allora bisognerà fare una diversa valutazione, a prescindere dall’omosessualità». Intanto, in piena polemica, il circolo Mario Mieli dà appuntamento a stasera al Colosseo per un bacio collettivo.
tratto da il Giornale
On. Isabella Bertolini (FI) : Da sinistra caccia alle streghe contro le Forze dell’Ordine
A sinistra recitano il solito copione: la polizia fascista ed antidemocratica che vuole negare i 'diritti' a poveri omosessuali bistrattati e ghettizzati dalla societa' omofobica, che per questo non esita a discriminarli. La sinistra sta vergognosamente strumentalizzando l'episodio dei gay al Colosseo per affermare un modello di societa' alternativo, laicista e relativista.
Ora ci toccherà assistere all'ennesimo sit-in, con annessa carnevalata, per affermare diritti gia' conclamati e concessi dall'ordinamento giuridico. Da settembre poi partiranno i corsi nelle scuole, prontamente istituiti dal Governo Prodi. Piaccia o meno ai signori della sinistra i reati vanno perseguiti a prescindere dall'orientamento sessuale di chi li compie. E' ora di finirla con i soliti atteggiamenti ideologici e preconcetti.
Nella sinistra italiana c'e' un pericoloso clima da caccia alle streghe nei confronti di chi porta una divisa ed e' impegnato a far rispettare la legge. Abbiamo di fronte una sinistra becera, che non perde occasione per tentare di infangare le Istituzioni che hanno consentito a tutti, gay compresi, di godere di tutte le liberta' civili garantite dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica.

sabato 28 luglio 2007

Gay innocenti. Carabinieri colpevoli. Storia di una sentenza già scritta

Effusioni in pubblico, a Roma scoppia il caso gay.
A sentire la difesa sembra una storia di pruderie anni ’50 rivista in chiave terzo millennio. A sentire l’accusa, invece, è una ordinaria storia da Buoncostume che solo la connotazione omosessuale riveste di risvolti politici.
È la notte tra giovedì e venerdì, l’una e mezza circa, siamo nei pressi del Colosseo. Una coppia gay passeggia mano nella mano nel centro di Roma. Arrivati nei pressi del monumento i due uomini si appartano e cominciano a baciarsi appassionatamente, fino a che una gazzella dei carabinieri li nota, li ferma e li conduce in caserma. Atti osceni in luogo pubblico il reato contestato. Di lì a poche ore scoppia il finimondo.
Sul caso intervengono le associazioni omosessuali strepitando di presunte discriminazioni ai danni dei gay e denunciando il trattamento che i militari dell’Arma avrebbero riservato ai due ragazzi, Roberto, 27 anni di Roma e Michele, 28. E la vicenda assume toni da crociata. Anche perché proprio nella zona in cui i due ragazzi sono stati fermati, via San Giovanni in Laterano, verrà inaugurata il primo agosto la Gay street di Roma.
«È un fatto gravissimo - è il commento del presidente Arcigay Roma, nonché responsabile Gay help line, Fabrizio Marrazzo - in quanto mostra come ancora oggi le coppie omosessuali sono considerate di serie B da molti».
Iniziano a circolare quindi le due versioni. Quella della coppia e, successivamente, quella fornita dai carabinieri. Che, neanche a dirlo, non combaciano quasi per niente. «Ci stavamo baciando e basta - ha raccontato Roberto, che però ammette: avevamo di appartarci in un posto tranquillo, in cerca di intimità. Non c’era nessuno e abbiamo cominciato a baciarci. Poi sono arrivati addirittura sei carabinieri su tre auto. Ci hanno fatto anche svuotare le tasche e perquisito. Successivamente ci hanno portati in caserma. Ancora non riuscivamo a crederci. Non sono stati per niente gentili e anzi hanno fatto di tutto per metterci a disagio». Subito dopo la denuncia e l’invito a comparire davanti al giudice.
Per i militari le cose si sono svolte in modo differente. «I carabinieri intervenuti sul posto - ha riferito un alto ufficiale dell’Arma - hanno riscontrato tutti gli estremi per procedere a una denuncia per atti osceni in luogo pubblico. Non si trattava di un bacio e neanche di un abbraccio. Il bacio non è reato. La pattuglia è intervenuta perché la coppia stava palesemente violando l’articolo 527 del codice penale. Non c’è nessuna discriminazione. Se si fosse trattato di una coppia eterosessuale saremmo intervenuti allo stesso modo».
Ma monta la polemica politica. «Mi auguro che a questi ragazzi si chieda scusa», è l’incredibile commento del ministro della Salute, Livia Turco, che non dà alcun credito alla versione dei carabinieri. E la collega Rosy Bindi, ministro della Famiglia, aggiunge la sua sentenza: «Eccesso di zelo». Al coro si unisce un’altra donna di governo, Barbara Pollastrini, titolare delle Pari opportunità: «C’è davvero il rischio che possa crescere un clima omofobico, di sospetto e pregiudizi». Il deputato della Sinistra democratica Franco Grillini (ex presidente Arcigay) annuncia addirittura un’interrogazione parlamentare ad Amato.
Dal centrodestra, invece, arriva la solidarietà ai carabinieri. «L’unica cosa scandalosa in questa storia - le parole del vicepresidente dei deputati di Forza Italia Isabella Bertolini - è che, come sempre, gli unici a finirci di mezzo sono i carabinieri. C’è qualcosa di perverso nel nostro Paese». Per Carolina Lussana (Lega nord) «se era un atto osceno non c’è stata alcuna discriminazione». Per il coordinatore di Forza Italia Francesco Giro, invece, «non c’è motivo di dubitare della versione dei carabinieri».
tratto da il Giornale

venerdì 27 luglio 2007

Indulto flop: 21mila fuori, solo 96 al lavoro. Un fallimento il programma di reinserimento costato 19 milioni di euro

«Flop», «fallimento» e «errore» sono i termini più usati in questi giorni per descrivere - a un anno dall’approvazione - il provvedimento dell’indulto.
Già, perché negli ultimi dodici mesi sono poche le previsioni del governo che si sono dimostrate veritiere in merito.
Sbagliate le cifre e - soprattutto - estremamente carenti i progetti di reinserimento degli ex detenuti.
Pochi giorni dopo l’inchiesta de La Stampa, che aveva svelato come a beneficiare dell’indulto fossero stati oltre 26mila detenuti (il 40% della popolazione carceraria, diecimila più del previsto), anche il magazine Vita svela una magagna.
Quella del flop del reinserimento lavorativo.Il settimanale dedicato al terzo settore, in edicola oggi, svela come - su 21.160 ex detenuti ancora in libertà - solo 96 siano stati impegnati in progetti di reinserimento lavorativo.
Un numero risibile, una percentuale dello 0,45% che certo non basta a giustificare i 19 milioni di euro stanziati la scorsa estate dall’esecutivo per promuovere questo tipo di «recupero».Insomma, il piano post-indulto di supporto agli ex detenuti è stato un fallimento. Finora, a vedere la luce è stato il solo progetto promosso da Italia Lavoro, l’agenzia del ministero del Lavoro.
Tutti i 96 detenuti, secondo Vita, frequentano tirocinii sotto il cappello del progetto «Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto» in 14 città.
Solo allo scoccare del primo anniversario dell’indulto stanno cominciando a muovere i primi passi anche altre iniziative.
Per esempio il progetto L.I.So.La., voluto dal Provveditorato all’amministrazione penitenziaria della Lombardia, dalla Provincia di Milano e dai Comuni di Milano e Monza. Esperienze simili stanno per partire anche a Catania, Messina e Mondragone (Caserta), dove è iniziato il progetto pilota «Para-cadute», del ministero della Giustizia. Iniziative che, però, sopraggiungono in grave ritardo.
Un’inerzia amministrativa che è una delle cause dell’alto tasso di recidiva, dal momento che 5.528 persone (il 15% dei beneficiari dell’indulto) sono già rientrate in carcere.
Ai pachidermici iter burocratici che hanno rallentato l’approvazione dei progetti, si è affiancata un’ulteriore difficoltà, come spiega il presidente di Italia Lavoro Mario Conclave: «Difficile è stato anche intercettare i liberati. Fino ad oggi abbiamo ricevuto solo 233 richieste di reinserimento». Come a dire: l’amministrazione sclerotica ha le sue colpe, ma se chi esce di galera non ha voglia di reinserirsi nel mondo del lavoro, c’è poco da fare.
Resta comunque la scia di un provvedimento molto contestato e sul quale il governo non è mai stato davvero padrone di dati e prospettive (a partire dal valzer delle cifre tra il Guardasigilli Clemente Mastella e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dello scorso novembre). E restano i 21.064 ex detenuti non reinseriti.
tratto da Il Giornale

Perugia “integra” i terroristi a spese dei cittadini

Perugia è da tempo immemorabile un luogo di passaggio di attentatori, guerriglieri e spioni di mezzo mondo: basti ricordare Alì Acga, regolarmente iscrittosi all’Università per Stranieri, prima di andare a sparare al papa. Più volte l’ateneo di Palazzo Gallenga ha fornito una preziosa copertura per ottenere il visto di soggiorno e, con esso, la possibilità di scorazzare tranquillamente per l’Italia.
Oggi il capoluogo umbro conserva le sue caratteristiche di “porto franco”, ma gli ospiti pericolosi più che usare il tesserino universitario, si giovano di una sorta di humus politico-culturale che “santifica” l’immigrato in nome dell’accoglienza.
Ed è così che l’imam di Ponte Felcino, recentemente arrestato insieme a due suoi sodali con l’accusa di terrorismo, riceveva un finanziamento comunale per pagare l’affitto di casa sua e gli enti locali stavano per prestargli una bella sommetta in grado di aiutarlo ad allestire una nuova moschea. Secondo il gip, Nicla Restivo, grazie al politically correct dilagante “il quartiere periferico di Perugia è da anni completamente fuori controllo”.
Gli extracomunitari hanno raggiunto cifre record, abbondantemente oltre il 12 per cento, che è la media della Lombardia e della Toscana.A favorire la linea dell’ “embrassons nous” verso gli islamici è l’ideologia egemone in tutta la regione. Si tratta di un mix di dalemismo, ingraismo, bertinottismo. La governatrice umbra, Maria Rita Lorenzetti, è una fedelissima del ministro degli Esteri, in odor di amicizia con Hamas. La Regione ha una rete di “relazioni internazionali”, con tanto di finanziamenti, che spazia fra la Palestina e Cuba.
Del resto quando Tarek Aziz venne ad Assisi, pochi tempo prima del rovesciamento di Saddam, gli amministratori locali, guidata da Lorenzetti, erano in prima fila a stringergli la mano.
Un bel po’ di soldi pubblici li assorbe la marcia della pace che, accantonata l’ispirazione capitiniana, è diventata una kermesse della gauche radical: anti americana, anti israeliana, anti occidentale.
L’edizione del 2003 era caratterizzata da slogan e cartelli che insistevano su un unico concetto: sono Bush e Sharon i veri terroristi. Era popolata da organizzazioni mediorientali border line, da Casarini e compagni e dai cattolici alla padre Zanotelli. Persino i francescani, notoriamente amici della sinistra, furono costretti a prendere le distanze da alcune affermazioni, fatte durante un convegno, tanto erano hard.
Questo non impedì ai vertici diessini, D’Alema e Fassino in testa, di sfilare con una tal compagnia, decisamente poco raccomandabile compagnia.Ai bordi di una simile weltanshaung si sono sviluppate escrescenze fuori della legalità.
La più importante è il campo antimperialista di Moreno Pasquinelli. Il cinquantenne ristoratore spoletino è stato arrestato due anni fa per favoreggiamento nei confronti di un attentatore turco. Ha dato ospitalità alle pendici del Subasio a terroristi latinoamericani e a Black Bloc e ha organizzato una raccolta di fondi per “la resistenza irakena”: il tutto mentre la sinistra cosiddetta moderata e di governo continuava a concedergli sale e piazze per le sue manifestazioni e evitava di pronunciarsi contro di lui. Pasquinelli, infatti, viene considerato un estremista un po’ folkloristico, ma tutto sommato incapace di creare seri pericoli.
L’Umbria e in particolare Perugia rischiano di pagare un prezzo altissimo a questo clima fatto di colpevoli sottovalutazioni, di ideologismi che rendono ciechi davanti a rischi evidenti, di malinteso senso dell’accoglienza, pagato naturalmente coi soldi dei cittadini.
In questo mare galleggia bene e nuota spedito il fondamentalismo islamico, comprese le sue propaggini più pericolose.
tratto da l'Occidentale

giovedì 26 luglio 2007

Italia nel mirino del terrorismo islamico salafita

"C'e' un particolare attivismo delle cellule di matrice salafita collegate in qualche modo alla rete internazionale di Al Qaida".
L'allarme arriva dal capo dello Polizia, prefetto Antonio Manganelli, nel corso dell'audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera.
È questa una delle "novita'" nell'attuale scenario di contrasto alle minacce legate al terrorismo internazionale di matrice ilamica. Una offensiva che, ha spiegato il prefetto, "si e' tradotta nel deterioramento della situazione in alcuni Paesi del Nord Africa".
Il timore di Manganelli e' "che i nostri vicini di casa possano riservare delle attenzioni anche al nostro paese". Il capo della polizia ha spiegato che l'Italia, come anche altri Stati occidentali, e' spesso "oggetto di invettive" che danno vita a preoccupazione su eventuali rischi.
Manganelli, citando materiale della propaganda e di ideologi fondamentalisti, ha parlato di "sistema" e non di "organizzazione".
"Non esiste - ha spiegato il prefetto - un'organizzazione operativa strutturata come Cosa Nostra che ha le sue filiali ufficiali nei vari paesi" ma un sistema di cellule altrettanto pericoloso che usano il marchio di Al Qaeda "come una sorta di franchising".
Sulla cellula scoperta a Perugina, il capo della Polizia ha spiegato che "si era organizzata quanto meno per l'addestramento, si davano istruzioni per l'uso che andavano dalla difesa personale fino ad elementi chimici compatibili con la composizione di esplosivi".
Un modus operandi, ha concluso Manganelli, "simile a quello riscontrato nei progetti di attentati di Londra, dove non si usa tanto trasportare tritolo o dinamite, ma viene utilizzata una miscela di prodotti legali, come fertilizzanti ed altro, acquistabili anche al supermarket".

mercoledì 25 luglio 2007

Moschee, la mappa dei predicatori dell’odio in Italia

La rete della violenza integralista attraversa tutto il Paese
Per ovvi motivi non entreremo nei dettagli delle dodici inchieste più delicate sui predicatori d’odio e sulle moschee monitorate in queste ore per proselitismo alla jihad.
Ci limiteremo, sfogliando l’aggiornato dossier dell’Antiterrorismo, a dare un quadro d’insieme sui centri islamici e i luoghi di culto dove la religione talvolta è mera copertura, la preghiera una scusa per l’indottrinamento alla guerra santa.Partiamo da Perugia, dov’è finito dentro l’imam di Ponte Felcino, uno dei tanti religiosi che nei loro sermoni prendono ispirazione dai cattivi maestri pro Bin Laden come Abu Qatada, Omar Bakri e Abu Hamza al Masri.
Il capoluogo umbro dove all’università per stranieri studiava un certo Ali Agca è considerato la culla degli imam itineranti pakistani, ortodossi del Tablig Eddawan (presenti anche a Desio), otto dei quali sono stati espuslsi due anni fa.
I centri di preghiera, ufficiali e no, sono difficili da censire. C’è tensione tra i frequentatori per la spinta integralista che ha costretto l’imam Abdel Qader a chiudere temporanemante la moschea e a respingere le minacce di colleghi fondamentalisti.
Tra le moschee nel mirino c’è ancora Cremona dove l’ex imam Mourad Trabelsi è stato condannato a sette anni. Precedentemente in cella ci finì il predicatore itinerante Mohamed Rafik (reclutava kamikaze per l’Irak) mentre il terzo ex imam della filanda in via Massarotti, il marocchino Ahmed El Bouhali (già arrestato nel 1998) dopo il proscioglimento è morto combattendo in Afghanistan.
MILANO CROCEVIA RADICALE
Milano e la Lombardia restano il crocevia delle inchieste più importanti. Sott’inchiesta, per le rivelazioni del pentito Riadh Jelassi, l’imam di viale Jenner, Abu Imad («ci faceva il lavaggio del cervello») parigrado del noto Abu Omar, imam di via Quaranta, che il pm Armando Spataro ha definito «capo terrorista». Un altro pentito, Thili Lazhar, ha spiegato come in viale Jenner venivano istruiti i futuri kamikaze.
Il filo del terrore che si dipana attraverso molti frequentatori delle moschee milanesi porta agli attentatori dell’11 settembre, a quelli della stazione di Madrid (vedi Osman Rabei), ai mujaheddin legati ad Al Qaida (tra i tanti l’egiziano Abdelkaer Es Sayed, l’algerino Hafed Remadna, segretario dell’imam di viale Jenner).
Occhi puntati su Segrate tra i frequentatori della moschea guidata da quell’Ali Abu Shawima che ha recentemente lamentato una cattiva stampa dopo l’esternazione sull’Italia «che sarà convertita all’Islam entro dieci anni», e a Gallarate dove la moschea è stata chiusa tempo fa e dove si scava tra i contatti dell’ex imam Mohammed El Mafoudi, noto per le sue prediche al vetriolo, arrestato per terrorismo nel 2003 e poi assolto.
A Varese la rocambolesca assoluzione dell’ex imam Abdelmajid Zergout ha fatto esplodere polemiche per la sua possibile espulsione al pari del predecessore, Abou Ayoub; a Brescia la condanna di Kamel Hamroudi ha riacceso i fari su almeno quattro imam a lui collegati, mentre a Como si continua a lavorare sui seguaci di un altro imam espulso nel 2004, Ben Mohamed.Chi ha lasciato dietro di sé emuli pericolosi sono l’ex imam torinese Ebid Abdel Aalil (arrestato per gli attentati a Luxor nel ’97) e il macellaio Bourika Bouchta, l’ex imam di Porta Palazzo che pubblicamente esaltava Osama, espulso a settembre 2005: l’Antiterrorismo spulcia tra i fedeli della moschea di via Cottolengo, famosa per le prediche anti-occidentali dell’imam Khohaila («gli infedeli vanno uccisi») in quelle di San Salvario rette da Mahmod Sinasi nonché tra i religiosi vicini al predicatore senza moschea, Abdoul Qadir Fall Mamour, noto come l’imam di Carmagnola, espulso a novembre 2003.
Stesso discorso per Vercelli, con gli sviluppi delle indagini sulla moschea avviate nel giugno 2005. Poi si passa a Como, ancora regno dell’imam (espulso) Snoussi Hassine Ben Mohammed, e a Bergamo, nell’entourage religioso di via Cenisio del ricercato Abou Britel El Passim, il cui indirizzo spuntò negli archivi di Al Qaida a Kabul. Altro capitolo ritenuto «investigativamente interessante» è quello di Verona dove si studiano i sermoni dell’imam Wagdy Ghoneim, quello che lo scorso marzo avrebbe invitato i fedeli musulmani «a governare le donne come le pecore perché stupide quanto le bestie».
In Veneto l’attenzione è sui luoghi di culto di Vicenza e tra Badia Polesine e Motta di Livenza (dove già sono emersi legami con gruppi terroristici di matrice salafita) e in quel di Bassano dove l’imam Ezzedin Fatnassi è stato perquisito dalla Digos. Sulla costruzione della nuova moschea guidata dall’imam Feres Jabareen a Colle Val d’Elsa, Siena (che condannò l’esecuzione di Saddam), l’Antiterrorismo da mesi segue l’attivismo di alcuni religiosi già collegati a Rachid Mamri, l’ex imam fiorentino di Sorgane, accusato di contiguità con terroristi marocchini, ritenuto il capo-reclutatore della cellula toscana, ma assolto a gennaio 2006.
FANATICI DEL CENTRO-SUD
Scendeno per lo Stivale, altro sito «sensibile» è la moschea di Sassuolo di via Cavour che ad aprile ha ospitato i predicatori d’odio Sheik Rajab Zaki e Al Barr, e la moschea El Nur di Bologna vicina alle posizioni del leader Abu Qatada.
Sott’inchiesta a Milano c’è finita anche la moschea di Carpi mentre a Reggio Emilia i controlli si sono intensificati dopo il corteo contro le «vignette di Satana» guidato dall’imam Mahamed Ahmad. Passando per Roma, dove si lavora sugli orfani dell’imam Hemman Abdelkrini espulso dopo le omelie pro Hamas, polizia e carabinieri puntano su sedici centri religiosi (tra questi Centocelle dell’imam Samir Khaldi, nel quale si recò Hamdi Adus Issac, ricercato per le bombe di Londra).
Scendendo ancora si passa per Latina e per una decina di moschee campane, dove tengono banco i sostenitori dell’ex indagato Gasry Macine, già imam della moschea di Aversa, o a Napoli dove l’ex imam Macine Nacer Ahmed è finito in manette due settimane fa a Parigi. È fitto l’elenco è fitto di accertamenti in corso sui predicatori d’odio in Puglia (Bari e Taranto), Calabria, soprattutto in Sicilia con l’enclave di Mazara del Vallo dove il moderato imam, Sta Outi Toutaoni, deve guardarsi dalle nuove leve radicali che predicando la jihad e, diffondendo l’odio, raccolgono un inarrestabile consenso.

Gian Marco Chiocci – Il Giornale

martedì 24 luglio 2007

Terrorismo. Il gruppo di Perugia non si sarebbe mai fermato

Non c'erano segni di una prossima interruzione dell'attivita' di addestramento e propaganda svolta dall'imam di Ponte Felcino Mostapha El Korchi insieme ai custodi della moschea, Mohamed El Jari e Driss, quando la polizia e' intervenuta.
Anzi la loro attivita' era in pieno svolgimento. E ora l'indagine punta a chiarire a cosa servivano le tante sostanze chimiche trovate nella casa dell'imam e i documenti, tra cui alcune cartine, trovate durante le perquisizioni.Nella richiesta di applicazione delle misure cautelari il magistrato titolare dell'inchiesta aveva evidenziato come non esistesse la prova che il gruppo si accingesse a elaborare programmi concreti da realizzare.
Non emerge al momento la sussistenza di potenziali, specifiche azioni criminali in danno di acquedotti, aeroporti o comunque luoghi identificati ha ribadito oggi la procura della Repubblica di Perugia.La situazione e' stata di fatto cristallizzata, come ha spiegato oggi un investigatore. Gli investigatori si stanno concentrando quindi sul materiale sequestrato.
Nelle prossime ore cominceranno le analisi della polizia scientifica sulle sostanze trovate in tre bidoni nella cantina di Korchi (potenzialmente esplosive e incendiare se miscelate secondo i primi rilievi). Digos e Ucigos stanno anche passando al setaccio il materiale trovato nel corso delle perquisizioni.
Tra i documenti ci sarebbero anche alcune cartine geografiche dalle quali comunque gli inquirenti non avrebbero pero' ricavato indicazioni particolari su una possibile attivita'. Esaminati attentamente anche tutti gli stranieri passati per la moschea per stabilire se qualcuno abbia poi effettivamente messo in pratica l'addestramento ricevuto.Notevole anche il materiale informatico sequestrato in occasione dei controlli, oltre una ventina, nelle abitazioni degli stranieri indagati a piede libero.
Tra questi anche l'imam di Pierantonio, frazione di Umbertide non lontana da Ponte Felcino. Materiale 'del tutto ininfluente' secondo il suo difensore, l'avvocato Nicodemo Gentile. All'uomo gli investigatori sono risaliti in quanto aveva frequentato la moschea di Ponte Felcino. 'Il mio assistito - ha spiegato il legale - vive in Italia da 18 anni e lavora come metalmeccanico.
La sua e' sempre stata una vita cristallina nel rispetto delle regole'.Dall'inchiesta emerge intanto che Korchi su Internet ha consultato anche mappe di non meglio specificate aree utilizzando il sito Google earth. Cosi' come ha svolto - secondo l'accusa - opera di addestramento nella moschea, mostrando tra l'altro a uno dei frequentatori l'uso di un coltello da combattimento.Gli investigatori ritengono pero' che i tre marocchini fossero anche impegnati in una intensa opera di radicalizzazione della locale comunita' islamica. Una modalita' ispirata alla globalizzazione dell'Islam cosi' come propagandato dai siti jihadisti.
La strategia farebbe parte di un piu' ampio progetto di radicalizzazione dei luoghi di culto della zona, attraverso un progetto di unificazione delle principali moschee umbre. E dall'ordinanza di custodia cautelare emerge che il progetto era in una fase avanzata di attuazione.
tratto da Agenzia Ansa

lunedì 23 luglio 2007

Ecco i predicatori dell'odio

Chiudiamo le moschee dell'odio, della violenza e della morte. Via dall'Italia i predicatori del terrorismo islamico. Grazie alla Digos per gli arresti di Perugia, complimenti al capo della Polizia Manganelli e al ministro dell'Interno Amato. Ma non basta tirare un sospiro di sollievo per il mancato attentato. Dobbiamo liberarci dalle «fabbriche dei kamikaze» presenti nel territorio nazionale. Solo pochi giorni fa il comandante generale dei Carabinieri Gianfrancesco Siatzu aveva ammonito che siamo un Paese a rischio, puntando il dito proprio sui terroristi maghrebini.
Ora abbiamo l'ennesima conferma dell'intreccio fisiologico tra il terrorismo islamico globalizzato e la rete delle moschee dove si inneggia alla «guerra santa» nel nome di Allah. Così come abbiamo la certezza che si tratta di una realtà strutturale, ben radicata e diffusa sull'insieme del suolo italiano. Di ciò ormai le autorità di sicurezza sono convinte perché si tratta della nuda e cruda realtà.
Ma allora perché non riusciamo ad affrancarci da questa minaccia che incombe sulla nostra vita e che condiziona la nostra libertà? La prima ragione è che la magistratura e più in generale il mondo politico, intellettuale e giornalistico continuano a voler ascrivere la predicazione d'odio nell'ambito della libertà d'espressione. È significativo che solo oggi la Procura di Perugia, per la prima volta dal luglio 2005, ha proceduto agli arresti applicando l'emendamento alla norma 270 del codice penale che sanziona «l'addestramento a finalità terroristiche».
Ma in generale le norme che considerano la predicazione d'odio come «apologia di terrorismo» non sono mai state finora impugnate pur in presenza della flagranza di reato. La seconda ragione è che fatichiamo ad assumere la piena consapevolezza che la vera arma del terrorismo islamico globalizzato non sono gli esplosivi o le pistole, ma il lavaggio di cervello che trasforma le persone in robot della morte. E che ciò avviene all'interno delle moschee, nell'ambito di una filiera che parte dalla predicazione d'odio che inculca la fede nel cosiddetto «martirio» islamico, si passa all'arruolamento in gruppi terroristici, poi all'addestramento all'uso delle armi e degli esplosivi, infine si arriva alla fase dell'attuazione dell'attentato terroristico vero e proprio. In Italia e altrove in Europa non si riesce a far propria questa visione d'insieme, a prendere atto che si tratta di una unica struttura organica e integrata del terrorismo. Il risultato è che finiamo per procedere con una navigazione a vista.
Ci sentiamo in pace con noi stessi se riusciamo a convivere con i predicatori d'odio, fintantoché non scoppiano gli attentati, immaginando che ciò sia espressione di una autentica democrazia liberale. Consideriamo un successo il riuscire a scovare in tempo i piani per compiere gli attentati, considerandolo giustamente un successo degli operatori della sicurezza. Ma ci asteniamo dall'andare in profondità, non vogliamo confrontarci con la radice del male. Temiamo e scongiuriamo l'attentato, che è la punta dell'iceberg, ma non vogliamo guardare in faccia e affrontare con determinazione la realtà dell'iceberg. Piuttosto preferiamo rinviare la soluzione del problema di fondo, che se ne occupi qualcun altro che arriverà dopo di noi, il futuro governo o i nostri figli. La vicenda della moschea-scuola di terrorismo di Perugia evidenzia un altro aspetto che ci riguarda da vicino.
Il sobborgo di Ponte Felicino, che ospita la struttura eversiva, si è trasformato in un ghetto dove su circa 5 mila abitanti solo il 2% sono italiani. E i ghetti sono il terreno di coltura ideali delle identità separate e conflittuali, specie nel caso degli estremisti islamici. Il terrorismo si previene anche con una strategia dell'integrazione che impedisca la formazione dei ghetti e porti obbligatoriamente alla condivisione dei valori e delle regole comuni. Diversamente non potremo mai dar vita a un modello di convivenza sociale che salvaguardi le certezze degli italiani e soddisfi le aspettative degli immigrati. Sarebbe assai grave se la vicenda di Perugia, così come è già accaduto in esperienze simili a Cremona, Milano, Bologna, Genova, Torino, Brescia e Firenze, si concludesse con il sorriso e la soddisfazione dei responsabili della sicurezza. Perché il problema di fondo del terrorismo islamico in Italia è tutto da affrontare e da debellare.
Magdi Allam - tratto da il Corriere della Sera

domenica 22 luglio 2007

Terrorismo e Islam, On. Isabella Bertolini: Sospendere la costruzione di nuove moschee

L’Onorevole Isabella Bertolini, Vice Presidente dei Deputati di Forza Italia, ha dichiarato:

Parlava chiaro il rapporto dei servizi segreti italiani, che individuava le moschee e le scuole coraniche come possibili luoghi in cui reclutatori dei terroristi godrebbero di libertà di manovra, specialmente per indurre all’estremismo cittadini islamici già presenti sul nostro territorio.
Fanno sorridere, quindi, le anime belle della sinistra che solo oggi si accorgono del pericolo che sta correndo il nostro Paese.
I numeri sono lì a dimostrarlo. Le moschee presenti sul territorio nazionale sono raddoppiate dal 2000 ad oggi, passando da 351 a 696, mentre le scuole coraniche sarebbero attualmente 158.
La cronaca conferma che non possiamo lasciare spazio di azione ad Imam ed estremisti, che hanno il solo ed unico scopo di indottrinare all’odio contro l’Occidente ed i suoi abitanti.
È necessario intervenire con misure e controlli restrittivi, anche chiudendo le moschee.
Dobbiamo garantire che al loro interno non ci sia spazio per i predicatori di odio e per la diffusione di messaggi incompatibili con i nostri valori.
Una urgenza ancora più sentita in Emilia Romagna, che detiene il primato di ospitare 25 scuole coraniche.
Per questo è veramente preoccupante l’irresponsabile disinvoltura con la quale la Giunta del Sindaco Cofferati di Bologna ha permesso la costruzione di una mega-moschea nel capoluogo di regione, capace di diventare un polo di attrazione per tutto il nord italia.
Si sospendano subito le costruzioni di nuove moschee a Bologna, come nel resto del Paese, fino a quando non sarà garantita la sicurezza dell’Italia.
È in atto una guerra nei nostri confronti da parte dell’islamismo radicale.
Continuare a fare finta di niente ci porterà solo guai. È ora di iniziare a difendere la democrazia occidentale.
È ora di difendere l’Italia e gli Italiani dai terroristi islam

Lezioni anticristiane anche ai bambini

Le intercettazioni ambientali rivelano incitazioni alla violenza verso i coetanei
Perugia.
Isolato, quasi ignorato dai pochi italiani che vivono nel quartiere che lo ospita, il centro islamico di Ponte Felcino è noto soprattutto tra gli immigrati musulmani che abitano fuori Perugia. Maghrebini, gran parte marocchini. Non fanno domande. Poche decine lo raggiungono dalla vicina stazione di Ponte San Giovanni al venerdì e lo fanno soprattutto per pregare. Un posto diverso dalla centralissima moschea di via dei Priori, affiliata all'Ucoii, e dall'altro centro islamico della città. Un anonimato che i gestori del luogo di culto e di addestramento alla guerra santa tendevano a mantenere soprattutto fuori orario, con le attività che si consumavano al suo interno e l'ingresso che si confondeva con le palazzine circostanti, spiegano fonti della comunità marocchina al Giornale: la sera, nel tardo pomeriggio della domenica, quasi mai il venerdì negli orari di preghiera.
Una sorta di doppia natura che lo aveva reso abbastanza popolare tra gli islamici di appartenenza salafita, cioè coloro che non riconoscono l'autorità statale né il mondo dell'associazionismo musulmano. È stato accertato che uno straniero era partito presumibilmente per l'Iraq e sono emersi suoi contatti con numerosi altri stranieri residenti in altri paesi europei e in Siria. Spostandosi dal nord al sud della penisola, in questa conca della periferia, nel centro islamico e nella sua guida, l'imam Korchi El Mostapha, che offriva informazioni e manuali sull'utilizzo e la produzione di armi batteriologiche e altri ordigni esplosivi, alcuni salafiti hanno trovato un punto di riferimento. È sempre stato Korchi El Mostapha a gestire la doppia anima di Ponte Felcino. Preghiera aperta al pubblico al venerdì, addestramento al jihad nelle ore serali. Dalle intercettazioni emerge che in un'occasione Korchi, assieme alla figlia minorenne a un connazionale arrestato guarda e commenta un filmato sull'esecuzione di 18 militari iracheni. Secondo la Digos di Perugia la zona, era Korchi a tenere le lezioni di cultura araba a una dozzina di bambini.
Nelle sue lezioni incitava a compiere aggressioni contro altri coetanei italiani per indurli alla sottomissione. Il jolly usato dall'imam era la naturale superiorità dei musulmani verso i cristiani. Eppure non era un imam solitario come quello milanese di Viale Jenner. Da almeno due anni lo conoscevano in molti alla periferia di Perugia. Un immigrato marocchino di quarantuno anni che ha sempre condotto una vita normale senza isolarsi. Una moglie, una figlia, anch'essa coinvolta nell'addestramento.
Nel 2005 si era perfino presentato negli uffici del Comune di Perugia per partecipare al concorso per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, era il 28 novembre del 2005. Un anno dopo la graduatoria che lo vedeva alla posizione 233 è stata approvata con atto del Comune. Il maggio scorso intervenne nella lite che scoppiò tra l'imam dell'Ucoii e quello della seconda moschea cittadina per fare da mediatore.
In pubblico non esponeva il pensiero col quale animava la seconda vita del centro di preghiera, rivelata dalle intercettazioni: «Ci sarà un giorno del giudizio che tutti i musulmani andranno in paradiso, mentre gli italiani miscredenti andranno all'inferno e bruceranno. Coloro che non capiscono la religione musulmana saranno torturati. Colpire gli altri bambini finchè non esce loro il sangue».
il Giornale

sabato 21 luglio 2007

A Perugia si va a scuola di terrorismo in moschea. Arrestato imam

A scuola di terrorismo nella moschea perugina di Ponte Felcino. Questo il risultato al quale e' pervenuta l'operazione "Hammam" coordinata dalla procura della repubblica di Perugia (Nicola Miriano). Arrestati l'Imam, Korchi El Mostapha' marocchino del 1966 e due collaboratori, Ljari Mohamed del 1960 e Safika Dris del 1961, suoi connazionali, entrambi clandestini, che risiedevano nella moschea, posta al piano terra di un condominio, svolgendo funzioni di controllo. Un quarto uomo, noto agli inquirenti, e' stato individuato all'estero "in terra natia" ha detto il Questore Arturo De Felice.

Durante la notte sono state perquisite anche le abitazioni di 20 soggetti indagati, tre dei quali risultati contravventori all'obbligo di espulsione e gia' arrestati. Per tutti l'accusa e' di "addestramento a finalita' terroristiche internazionali" cosi' come prevede l'articolo 270 del codice penale, introdotto nel 2005 tra le misure urgenti per contrastare il terrorismo internazionale, e che ha trovato applicazione per la prima volta in Italia.

L'indagine e' iniziata circa due anni fa ed ha coinvolto Digos, servizio centrale antiterrorismo della direzione centrale di Polizia di Roma, servizio di Ps Postale e comunicazioni di Roma e dell'Umbria. Tutto e' partito dalla notizia che l'Imam avrebbe facilitato all'estero un soggetto andato poi a combattere (che risulterebbe vivo ed in carcere).

"Approfondendo l'informazione - ha affermato il responsabile della divisione antiterrorismo internazionale Gazzerani - abbiamo potuto verificare che nel luogo di culto Korchi, che era guida spirituale, scaricava da internet materiale riconducibile all' attivita' di addestramento all'uso di armi, manuali sull'uso di esplosivi e sostanze tossiche".Nella moschea sono stati sequestrati filmati, materiale informatico e documentale, ed anche sostanze chimiche funzionali agli addestramenti come nitrati ed acidi che sembrano riprodurre a fini sperimentali un laboratorio ben fornito, un materiale enorme ora al vaglio degli inquirenti.

Ai normali fedeli (la comunita' e' molto ampia ed arriva fino a Solfagnano, in zona Perugia Nord), si aggiungevano soggetti nella sfera d'influenza dell'Imam, quelli monitorati sono risultati avviati ad attivita' di proselitismo ed addestramento, con lezioni di combattimento corpo a corpo, tecniche di agguato e uccisione. "Addestramento rivolto all'autoistruzione" ha precisato il questore De Felice, sebbene le "minuziose indicazioni per la realizzazione di atti di terrorismo .. e perfino per guidare un Boeing 747" come evidenzia la stessa procura non facciano escludere che a Perugia si potessero formare ipotetici kamikaze. Gli addestrati, uomini e donne, anche
minorenni, e la stessa figlia dell'Imam, venivano incitati alla violenza, lo stesso Iman partecipava a dibattiti nella rete con proclami dal chiaro contenuto terroristico.